Il Premio Nobel per la Letteratura era stato ricoverato all’ospedale Salvador Zubiran di Città del Messico il 3 aprile scorso. Poi era stato dimesso, ma negli ultimi giorni viveva in condizioni di salute precaria. Si è spento a casa sua, vicino all’affetto dei suoi cari.
Dal Brasile, dal Messico e dalla Colombia sono in tanti a ricordarlo e a rendergli omaggio. Il Presidente colombiano Santos “I giganti non muoiono mai“, El Espectador, il quotidiano di Bogotà “Per sempre Gabriel“, Paolo Mauri “Un po’ il Maradona della letteratura“. Il necrologio del New York Times lo associa a Hemingway, Tolstoj e Dickens.
Gabo era considerato come il maggior esponente del realismo magico. Nel 1967 fu pubblicato il suo più celebre romanzo, quello di cui ogni personaggio deve essere annotato durante la lettura, Cent’anni di solitudine; autore anche di L’amore ai tempi del colera, di Cronaca di una morte annunciata e di L’autunno del patriarca.
Le parole della sorella Aida invitano a far riflettere l’anima “Dobbiamo essere pronti alla volontà di Dio. Uno vorrebbe che la gente fosse eterna, che non morisse mai, ma dobbiamo essere pronti alla volontà di Dio.”
«Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito». Dall’incipit di Cent’anni di solitudine
Gabriel Garcia Marquez (6 marzo 1927 – 17 aprile 2014)