Successe dunque che quando ormai i popoli s’erano messi l’animo in pace sulla mancata fine del mondo, un evento strabiliante e sbalorditivo scosse le genti dal torpore delle loro tartine secche e spumante da discount, ridette vigore, sul far dell’ennesima cena imposta, a palpebre arrossate e gonfie che ben si sarebbero chiuse per un paio di giorni filati, fece dimenticare le feste in piazza, le falangi saltate, gli accoppiamenti “di legge” allo scoccar della mezzanotte. E furono gli italiani, che sotto sotto un pensierino sulla dipartita globale ce l’avevano fatto eccome, a ricevere lo shock maggiore, ad essere testimoni della Grande Rivelazione. Quasi tutti erano già seduti a tavola, cellulare alla mano, a ragionar di crisi e schermi ultrapiatti; i bambini a parte: per loro un tavolino rasoterra a distanza di sicurezza dai grandi; che si scaccolassero e accoltellassero pure quanto volessero, quelle piccole carogne! In sottofondo, tollerato ma-ci-vuole non-si-può-non-ascoltare-il-discorso-di-fineànno, il presidente Napolitano gonfiava le sue parole di rito arrotando con vigore le “erre”, calibrando le pause fra lavoro ed equità sociale. Nessuno fece caso quando sullo schermo la sua immagine si distorse la prima volta. Una frazione di secondo, un fruscìo. Poi due, le parole deformate, interferenze… righe. Schermo nero. Poi un nuovo volto.
Fissava i pochi italiani che avevano distolto lo sguardo dai loro i-Cosi attraverso ben conosciute fessure, il piccolo viso pendulo esibiva il consueto, sottile sorriso di biscia (di lì a poco, oh! quanti tasselli si sarebbero incastrati…) che silente diceva “Sì, già sai che anche stavolta son qui per profittar del tuo lasso sfintere, e già sai che anche stavolta farò in modo che mai tu ammetta di sentire il bruciore”. Però c’era qualcos’altro, anche se in quel momento nessuno lo notò. Era lui, ma i più accorti avvertivano la sensazione di altro, di leggermente sfasato; era senza dubbio il Santopadre che aspettava paziente la loro attenzione, eppure… Ci furono diversi segni di croce, qualcuno attese che Raztinger si desse una spruzzata di Dolce&Gabbana e lasciasse nuovamente il posto al Presidente della Repubblica, altri fecero buon viso a cattivo gioco, già tanto non fosse comparso Berlusconi (al tempo defunto da dodici anni e sostituito con un androide, ma questa storia verrà narrata un altro giorno).
Poi, mentre sempre più visi erano rivolti agli schermi, in parecchie case iniziarono brusii di dissenso verso Euroniks e MediaWorths, sempre più pacche poco amichevoli furono date ai televisori, pardon, mediacenters, e iniziò uno spippolìo frenetico alla ricerca della regolazione del colore! “Sedicimila euri e il papa me lo fa vedere verde?! Nini, domani pigli e glielo riporti, capito??” Fu un bimbo di cinque anni, occhialuto e bruttino, a far notare alla madre come verdi, d’un delicato verde acqua, per la verità, fossero solo il viso e le manine ossute del pontefice, mentre il suo costume era bianco come sempre. Bimbi occhialuti fecero la stessa osservazione in decine di case, in migliaia.
L’attenzione salì a livello II.
“Pikkoli amici terrestri, interrompo kon dispiacere i fostri banketti lukulliani, ma il tempo di fare kvesto annuncio è ciunto e kiedo pertanto la fostra attenzione totale. Prometto di non dilungarmi oltre il dofuto, parlerò solo kuanto basta per far diacciare fostri kappelletten in brodo…” Gli occhi del papa erano rossastri, ma nessuno avrebbe più scommesso sull’ennesima inculata del ragazzino del reparto home-video.
“Ce ne andiamo, kari. Ci leviamo dai tre passen. Detto fra noi, abbiamo due coglioni che non basterebbe una carriola.” (non sfuggì a nessuno, compresi alcuni esponenti del Pdl, che il papa aveva gradualmente smesso di sembrare il sergente delle Sturmtruppen e parlava ora un italiano liscio e senza inflessioni). “Il fatto è che, be’, il finale del libro Noi lo conoscevamo da sempre. Oscura restava una piccola parte di trama e soprattutto quanto la nostra storia insieme sarebbe durata. Ecco, cari aggeggi, il romanzo che anni fa decidemmo di scrivere si è rivelato troppo lungo e in fin dei conti un po’ noiosetto.”
Sparuti nonni spostati sulle fasce laterali, fuor di portata delle tartine, biascicarono contro la Rai e le reti unificate “Guarda che troiai, bei tempi Canzonissima”, ma senza troppa convinzione; nonostante le arterie sclerotiche dei più, quel mezzobusto che li fissava a 96 pollici era vero, perdìo. E continuava a parlare tranquillo. “Un gioco, terrestri. Solo un gioco; o un piccolo esperimento, se preferite, ripetuto attraverso i millenni dalla nostra Razza ai danni di civiltà ritenute più arretrate della nostra. Sempre con lo stesso copione, sempre con lo stesso scopo: buttarvela lì, farvici credere piano e via via, secolo dopo secolo, nel nome di quella Leggenda inventata dal nostro Padre Primorde in un pomeriggio afoso, farvi le peggio carognate e vedere fino a che punto la creduloneria dei popoli ‘bassi’ si sarebbe spinta. E quando, in un sussulto d’orgoglio o buon senso, sarebbe partita la ribellione finale. Che puntualmente arrivava e puntualmente dichiarava chiusa anche quella partita. Via verso un’altra galassia!”.
Poi, circa duemila anni fa, i nostri incursori hanno trovato voi, la Terra. In molti fra i membri del nostro Consiglio Alto erano contrari a perpetrare il giuoco. “Un’ultima volta” fu deciso, a strettissima maggioranza. “Però giochiamo pesante, facciamo loro capire fin da subito che si tratta d’una minchiata bell’e buona e sbolognamoceli prestino, così si va a caccia di tope astrali su Andromeda!”. “Atterrammo col nostro astronavone (un modello che a guardarlo ora ci fa sorridere, ma che ai tempi era il vanto delle esplorazioni intercosmiche) giusto nel mezzo d’una stretta lingua di terra fra quelle due pozze asfittiche che già allora non avevate vergogna a chiamar ‘mare’. Fu lì, qui, che iniziò il nostro calvario. Si partì subito col copione classico: un giardino incantato, un uomo e una donna, l’uomo immediatamente rintronato alla vista d’un po’ di pelo… E poi serpenti parlanti, foglie di cactus tragicamente schiaffate fra le cosce e subito un colpo basso, la specie salvata e accresciuta grazie all’accoppiamento di due maschi, fratelli! No, dico?? Ma siamo seri! Decine di civiltà prima della vostra, a questo punto ci hanno rincorso prendendoci a roncolate sulle schiene squamose, strappandoci la lingua e inchiodandoci per le zampe palmate. E voi?? Macchè. Tutto ganzo, tutto plausibile, tutto giusto.”
Cominciò a serpeggiare un fastidioso timore; più si cercava di farvi capire l’imbroglio, più ci venivate dietro. Ve lo garantisco, umani, s’è provato di tutto! Abbiamo tentato con il primo becco della storia, un vecchio sterile a cui trombano la moglie di nascosto e gli tocca anche far finta di creder che ella è rimasta illibata; siamo passati alla resurrezione d’un morto che sposta un pietrone da dodici tonnellate dopo averne fatte di tutti i colori da vivo. Nulla. Paura. Abbiamo iniziato a darvele fitte, a sgozzarvi trucidarvi bruciarvi nel nome del nostro giochino noioso. Abbiamo raso al suolo le vostre casacce di legno marcio, ci siamo ingrassati alla faccia vostra mentre morivate di fame. Eravamo disperati… Quasi tutti i mesi una riunione per decidere come fare a farvi capire, per votare la puntuale mozione “Leviamoci di culo da soli” dell’ala estremista. Ma alla fine prevaleva sempre la curiosità di vedere se voi, buffo popolo, avreste battuto ogni record di longeva demenza.
Quindi si seguitava. Qui in Italia poi ci siamo sdati senza vergogna: ci siamo arricchiti, ci siamo eretti a vostri padroni senza traccheggiare, pigliandoci tutto, facendoci temere, osannare, riverire nel nome d’un racconto traballante fin da principio. Vi siete fatti il culo per elevarci palazzi e templi, vi siete ammazzati fra di voi per tenerci buoni. O che trojai siete?!”
Il Papa ora non era più veramente il Papa; o meglio, si capiva ancora che era lui, ma davanti a piatti di lasagne ormai freddi e occhi sgranati gesticolava rilassata una creaturina d’un bel verde acceso, i cui globi oculari, rosso vivo, dominavano il sembiante appuntito, la cui bocca sottile come un taglio rapiva l’attenzione, mentre le fugaci apparizioni della lingua violacea e biforcuta strappavano rumorosi sussulti alla platea italica.
“Capite, italioti? Neanche il vostro sangue ci ha smascherato, neanche i vostri soldi! E sì che ve n’abbiamo puppati parecchi. Tasse, imposte, gabelle fra le più insulse e umilianti. Donazioni, esenzioni, superstizioni… coglioni!! Lasciti, salassi, furti, regalìe. Fantasiosi, tenaci, non c’è che dire. Nell’universo, a vostro modo, unici. Ma fossi in voi non ne farei un gran vanto. Vi abbiamo venduto patacche e confiscato terre pensando ‘vai, ci siamo, è la volta buona che ci rispediscono a casa ’. Nisba. Nada. E’ vero, siamo stati stronzetti perché nei secoli in cui il giuoco è andato avanti molti di noi hanno vestito i panni dei buoni – converrete che ogni strategia degna di questo nome necessita d’un buon diversivo – ma vi garantisco e giuro sulla testa della nostra Lucertolona Madre che lo abbiamo fatto sempre con meno convinzione e entusiasmo. Arrivati ai giorni nostri, quando fra noi nessuno è più disposto a recitare (pensate forse mi garbi incarnare un vecchio ammiccante e ingioiellato che si veste come una malata di mente?!) e solo gli Infimi, i reietti vengono costretti a sbarcare di nascosto sulla terra, abbiamo puntato un’ ultima volta sul vostro amor proprio, condannando senza pietà il diritto al vostro piacere libero, dettandovi astruse regole sulla procreazione, corrompendo i vostri figli, inchiappettandoli in ispregio totale de’ loro sfinteri, rovinando loro la vita! Per non parlare delle migliaia di giovani novizi nel pieno di tempeste ormonali che hanno tentato di sfogarsi nel segreto dei seminari con agguerriti tornei di soffoconi a squadre. Un fallimento completo. Per tacer del disgusto che provavamo innanzi a simili pratiche. Adesso basta…”
La creatura parve per la prima volta provata. Ora che i cittadini della Repubblica italiana gli stavano concedendo incondizionata attenzione, la creatura era stanca. Stanca e triste perché proprio in quel momento percepì la sconfitta del suo Popolo come netta e definitiva. Sentì, attraverso i suoi sensi affinati da un’esperienza senza tempo, che i telespettatori non lo temevano, non lo rifiutavano. Non lo giudicavano. Immagazzinavano. Se la lucertola che parlava dai loro schermi a parete li avessi invitati ad andar a confessarsi da altre lucertole, ebbene, loro sarebbero andati senza fiatare. L’esperimento si stava ritorcendo loro contro, andava interrotto senza indugi. Il gioco era terminato, la base della piramide galattico-evolutiva era stata individuata senza alcun ragionevole dubbio.
L’essere si allungò quasi a volere toccare lo schermo col muso. Era indubbiamente bruttoccio, ma il fascino che emanava, come quando blaterava in tedeschese, era immutato e irresistibile. Sogghignò, era l’epilogo.
“Lasciate che ricorra, per prender commiato da voi Inferiori, ad uno dei passi che ho fra i più cari di quel gran bel libro di favole che è la Bibbia”. La papa-lucertola congiunse gli artigli e chiuse gli occhi, lentamente. ‘E’ tempo…di morire’ Ma no noi, brutti bacherospi! Voi che, diciamocelo, fate schifo al maiale. Si torna a casaaaaaa!!”.
L’alieno che era stato papa scomparve. Napolitano non tornò più. Silenzio, dentiere cadute a bagno nelle scodelle, qualche mutanda da cambiare. Indecisione dei più. Fu il bimbo di cinque anni, occhialuto e bruttino, a riaversi per primo e a strappar lesto il telecomando dalle mani rigide della madre; pigiò rapidamente un tasto, navigò esperto fra le opzioni di un menù azzurro… Sky fu il primo network a mostrare le immagini confuse di una abnorme colonna di fumo dalla quale comparve un gigantesco oggetto piatto, d’un grigio piombo cupo, che sventrando la Basilica di San Pietro si levava maestoso nei cieli di Roma.
Testo e illustrazione: ENRICO OCCUPATI (OQ) – “Il Vernacoliere”
Fiorentino del ’74, Enrico Occupati si è laureato (per sbaglio) in lingua e letteratura spagnola presso l’Università degli Studi di Firenze. Di lavoro ha fatto di tutto, dall’insegnante di italiano allo straniero alle vendite di quadri. Attualmente lavora per il nemico, ossia il Governo Americano, con un incarico top secret (ahilui, non scherza). Passione smodata per il disegno, è autore da oltre due anni e mezzo de “Il Vernacoliere”. Info: oq1974@gmail.com.