Dopo il caso della donna di Seattle, un’altra vittima è stata uccisa dal parassita Naegleria fowleri, tristemente noto come «ameba mangia cervello», che provoca infezioni molto rare, ma letali. A perdere la vita Eddie Gray, 59 anni, che si è ammalato dopo aver fatto il bagno al Fantasy Lake Water Park, nella contea di Cumberland il 12 luglio scorso, le cui acque erano infestate dal microrganismo. Una nuotata che si è rivelata mortale, come ha reso noto il dipartimento della salute e dei servizi umani dello Stato americano, che, come si legge sul “New York Times” ha ricordato ai cittadini che il Naegleria fowleri «non causa malattie se ingerito, ma può essere fatale se penetra dal naso, come può accadere durante le immersioni, lo sci nautico o altre attività acquatiche».
“Ameba mangia cervello” nuova vittima negli Usa, parla l’esperto: «In Italia rischio assente!»
Ma come riconoscere un’infezione di questo tipo? E soprattutto c’è pericolo anche da noi? Tanto per cominciare la malattia progredisce molto lentamente: le persone che ne sono colpite muoiono nel giro di una, massimo due settimane. Difficile riconoscerne i sintomi: i primi segni dell’infezione possono essere mal di testa, nausea e vomito. Secondo quanto spiegato da Andkronos: «l’ameba entra nel corpo attraverso il naso, può migrare nel cervello lungo il nervo olfattivo e da qui inizia a distruggere il tessuto cerebrale. Il nome tecnico dell’infezione è meningoencefalite amebica primaria». Difatti alcuni casi sono ricollegati ai lavaggi nasali, come quello della donna di Seattle. I primi sintomi erano in tutto e per tutto simili a quelli di un’allergia; poi dall’arrossamento del naso si è passati ad un violento attacco di convulsioni, che ha spinto la donna a sottoporsi ad alcuni esami. In prima ipotesi si era pensato ad un tumore, in seguito vedendo che le condizioni della paziente continuavano a peggiorare e nuove lesioni apparivano dalle scansioni del suo cervello, i medici dello Swedish medical center sono riusciti ad individuare l’ameba, che ha causato la degenerazione della massa cerebrale. Troppo tardi però: la donna, infatti, è deceduta, nonostante le cure. A determinarne l’infezione, secondo i dottori, l’uso improprio delle lavande nasali, soprattutto quando si ha a che fare con acqua non sterilizzata. Talvolta le contaminazioni possono essere determinate anche da un cattivo stato della rete idrica o da infiltrazioni.
La situazione in Europa: «Finora i casi accertati sono soltanto due! Più diffuso negli Stati Uniti!»
Qual è la situazione in Europa? L’ameba mangia cervello è stata avvistata raramente. Per evitare che questi ultimi casi registrati in America alimentino la psicosi, del tutto esagerata, in Italia, è consigliabile leggere il parere di un esperto, Govanni Maga, virologo dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia, che su “Repubblica” ha spiegato: «Il patogeno è letale ma le infezioni sono molto rare. (….) In Italia il pericolo non esiste, l’influenza miete molte più vittime. (…) Il balamuthia (quello del caso della donna morta a Settle, ndr) è un protozoo teoricamente presente in tutte le zone temperate ma non è stato riportato nessun caso in Italia. È stato scoperto solo 30 anni fa, non se ne sa ancora molto, ma sappiamo che attacca spesso le scimmie e raramente gli umani!».
«Ameba mangia cervello? Dovremmo temere di più l’influenza e ricorrere al vaccino!»
Finora i casi accertati in Europa sono stati soltanto due: «Il primo nella Repubblica Ceca nel 1998 e nel 2006 in Portogallo. In Italia non abbiamo mai avuto casi. Sembra essere molto più diffuso negli Stati Uniti!», ha afferma ancora il virologo, che ha chiarito: «I patogeni che ci interessano di più sono altri, come la legionella che è molto più comune anche se meno letale. Abbiamo avuto molte occasioni per vedere che in Italia siamo in grado di gestire la rete idrica e assicurare la potabilità delle nostre acque!». Dunque nel Belpaese non ci sarebbe alcun rischio. «Se un patogeno è diffuso se ne conosce l’esistenza, si manifesta con focolai ricorrenti e non è questo il caso, dovremmo invece temere di più l’influenza e ricorrere più spesso al vaccino!», ha concluso il dottor Malaga.
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