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Cesena due suicidi ravvicinati, paura per i nostri giovani: vale davvero tanto poco la vita?

«Strano, vero? La vita di un uomo è legata a tante altre vite. E quando quest’uomo non esiste, lascia un vuoto…», sussurra l’angelo Clarence all’onesto impiegato George Bailey, che ha appena tentato di uccidersi, gettandosi da un ponte. Una scena da antologia. Il film è La vita è meravigliosa, capolavoro del 1946 diretto da Frank Capra, ispirato al racconto The Greatest Gift di Philip Van Doren Stern. Una delle pellicole più commoventi della storia del cinema, che sa raccontare con delicatezza, a mo’ di fiaba quasi, quanto preziosa sia la vita, parimenti come sia faticoso, a volte, stare al mondo. Perché non è vero che non si cade, anzi ci si fa male, ci sono inciampi e delusioni, dolori grandi e momenti di sfiducia. Inutile mentire: è un regalo complicato la vita, ma pur sempre un regalo, di cui bisognerebbe avere cura. E non si può non essere velati da malinconia pensando al lieto fine del film e leggendo, invece, il triste epilogo che lega a doppio nodo due giovani che, a Cesena, hanno deciso di mettere fine alla propria esistenza. Ragazzi che non si conoscevano, le cui esistenze, tutt’al più, si sono sfiorate, per caso, in un supermercato o in un cinema affollato sotto le feste. Come binari paralleli di un treno. Due casi rimbalzati sulle pagine di cronaca nera: una ragazzina di appena 13 anni, che si è tolta la vita, gettandosi sotto un treno, dopo un diverbio con i genitori, e quello di un ventenne che si è ucciso volando giù dall’ultimo piano dell’ospedale Bufalini.

Cesena due suicidi ravvicinati, paura per i nostri giovani: vale davvero tanto poco la vita?

La tredicenne è stata presa in pieno sui binari da un treno merci in transito, intorno alle 4,30, di sabato mattina, fra le stazioni di Cesena e Villa Selva (Forlì). A distanza di qualche giorno, stamani, un ragazzo di appena vent’anni, studente universitario, residente a Modigliana, è salito sulle scale antincendio dell’ospedale Bufalini e una volta raggiunto il punto più alto si è buttato di sotto. Un salto di 15 metri, che non ha lasciato scampo al giovane. E mentre la polizia indaga su entrambi i casi, non si può smettere di pensare che la vita di due ragazzi è stata buttata al vento da un gesto estremo. Come riporta “Cesena Today” non si tratta purtroppo di episodi sporadici: in Italia il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani. Stando all’Osservatorio Nazionale Adolescenza i tentativi di suicidio da parte degli adolescenti sono quasi raddoppiati: (dal 3,3% al 5,9%). In pratica sei ragazzi su 100 di età tra i 14 e i 19 anni hanno provato a uccidersi. Un dramma che colpisce soprattutto le ragazze (71%). Il 24% degli adolescenti ha, invece, pensato almeno una volta di farla finita. E sono numeri che fanno riflettere e che danno un’immagine particolare della vita stessa: quella di un fragile palloncino ad elio legato ad un filo sottile, che ad un certo punto vola via, per poi esplodere contro qualcosa di appuntito. E la conseguente esplosione porta con sé il dolore dei parenti, la rabbia di questi che monta, perché non ci si può rassegnare alla morte di un figlio. Non si è mai preparati alla perdita di un fratello o sorella, di un nipote. Cosa fare per evitare che ciò accada? Quali sono i segnali? Davvero i nostri ragazzi si sentono tanto soli?

«Quando un giovane non dà più senso alla propria vita», l’opinione dell’esperta

Gerardo Muollo di Cesena Today ha intervistato la dottoressa Pina Li Petri, psicoterapeuta e mental coach: «Non è semplice, l’adolescenza è anche un tormento interiore tra il bisogno di dipendere dai genitori, e la voglia di indipendenza. C’è il desiderio di trasgredire, di essere autonomi. Il suicidio non è un atto che si compie in preda ad un raptus, è la fine di un percorso, di un tragico progetto, è quindi un atto premeditato, pensato e ripensato». Ci sono dei campanelli d’allarme da non sottovalutare: «Quando un giovane non dà più senso alla propria vita, è apatico, non ha una motivazione per svegliarsi la mattina ed è completamente indifferente agli stimoli esterni o quando un ragazzo si isola completamente, non frequenta più nessuno. Può essere l’indice di una patologia e si deve intervenire!», ha detto l’esperta, che poi ha aggiunto: «Nell’era dei social spesso lo stare insieme è più virtuale che reale!». La dottoressa Pina Li Petri, che è anche psicologa delle Miss, ha spiegato: «Ho potuto notare che c’è tanta ansia da prestazione, il terrore di deludere i genitori, causato anche qui da un modello educativo sbagliato, che non consente alle giovani ragazze di accettare la sconfitta!».

L’arte di perdere, l’ansia da prestazione, l’insicurezza

Dunque alla base c’è sempre un’insicurezza di fondo, la paura di non essere all’altezza. Forse in tal senso un grande insegnamento arriva da queste parole: «Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare…». Un pensiero a lungo attribuito erroneamente all’intellettuale Pierpaolo Pasolini, ma che è stato scritto invece da un’insegnante, Rosaria Gasparro. Perché punti di riferimento per i giovani sono non solo i genitori, ma anche gli insegnanti, gli allenatori, i coach… tutti coloro che partecipano all’educazione dell’individuo. Perché prima di essere schermi di cellulari, profili sui social, voti a scuola siamo persone. Non dovremmo dimenticarlo mai.

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