Francisco Alves Mendes Filho, conosciuto come Chico Mendes, prima di essere assassinato, il 22 dicembre del 1988, era un ambientalista innamorato delle foreste di caucciù, sindacalista e politico brasiliano; dopo la morte, a 30 anni dalla sua uccisione, lo ricordiamo come il vero difensore della foresta. Quella di Chico Mendes è ciò che può definirsi una bella storia, da raccontare, da ascoltare ed è proprio per amore del periodo storico che stiamo vivendo che questa storia va raccontata perché ora più che mai necessitiamo di eroi innamorati della Terra e della grandiosa natura che la abita.
Chico Mendes, una vita per l’amore dei seringueiros
La storia di Chico Mendes inizia con la difesa dei seringueiros, i “raccoglitori di gomma” di caucciù che lavoravano la terra e ne raccoglievano i frutti da centinaia di anni, lavoratori instancabili che trascorrevano le giornate all’ombra dei signori della foresta, gli alberi. La sussistenza dei seringueiros era garantita dalla raccolta di lattice, di noci brasiliane e altre attività pienamente sostenibili: vite semplici, come era semplice quella di Chico. Seringueiro fin dalla nascita, Mendes ha dedicato la vita a battersi per la sua giusta causa, per l’idea di una foresta quasi primordiale, di ritorno alle origini: una natura in simbiosi con l’uomo, un uomo in simbiosi con la natura, paralleli, mai incidenti. Mendes vive gli anni del profondo disboscamento delle foreste dell’Amazzonia; il fine era quello di creare nuovi spazi per pascoli e per coltivare, per estrarre minerali ricchi di ferro e oro e vendere legname pregiato. Fu così che Mendes iniziò le prime proteste sindacali, utilizzando il metodo della non violenza (del tutto estraneo alla realtà brasiliana dell’epoca). L’idea era quella di restare uniti contro la devastazione forestale e creare aree di lavoro protette dove gli alberi d’estrazione della gomma di caucciù potessero crescere indisturbati e dare buoni frutti ad un paese che di semplicità si nutriva. Le proteste pacifiche furono così incisive che gli abbattitori della foresta finirono per arrendersi e spegnere le motoseghe: la tecnica era semplice quanto efficace, accerchiare gli operai fino a quando avrebbero desistito. Funzionò. L’altra grande intuizione di Chico Mendes fu la costruzione di una alleanza tra quegli stessi popoli che della foresta ne vivevano: bianchi poveri, indios e seringueiros insieme per fermare il disastro ecologico e difendere collettivamente i loro diritti. Riuscì a fondere la lotta per i diritti della foresta a quelli dei lavoratori, unendo protesta sindacale e la militanza partigiana andando contro i grandi interessi dei latifondisti e della UDR (Unione Democratica Ruralista). Fu geniale e pieno di entusiasmo tanto che le Nazioni Unite, nel 1987, lo lo definiscono uno dei più influenti difensori della natura, conferendogli a Washington il premio Global 500 dell’Unep, agenzia dell’Onu per la tutela dell’ambiente. Un motore umano che divenne tanto dirompente da risultare scomodo, così il 15 dicembre 1988, Mendes veniva assassinato da due rancheros.
Come tutti i grandi uomini, le grandiose personalità che sopravvivono la loro stessa morte, Chico viene ricordato, ancora oggi, per lo spessore morale, la grandezza di un leader che è stato mediatore, amico, maestro di molti. Se non che, proprio a pochi giorni dalla ricorrenza della sua mote, vogliamo ricordare così l’attualità del suo messaggio, attraverso le parole di Marina Silva, sua allieva e ora personalità politica di spicco in Brasile: “Rimane viva nella mia memoria l’immagine di Chico Mendes, con i progetti di sviluppo della comunità in mano, nei corridoi delle istituzioni, cercando il supporto di scienziati, ambientalisti, sindacalisti, partiti politici, enti governativi. Chico ha ascoltato tutti, ha cercato il dialogo, valutato le informazioni, la scienza unita alle conoscenze tradizionali delle comunità indigene. Non ha mai abbandonato i compagni della foresta, aveva rispetto non solo per il sentimento di fraternità, ma anche per la democrazia nei dibattiti e nelle decisioni”.
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