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Intervista esclusiva a Cinzia Mastroianni: le opere sue alla Galleria “Area Contesa Arte” in via Margutta a Roma

18/07/2019 19:22 - Aggiornamento 29/07/2019 16:57

di Cristina La Bella – Una mostra da non perdere alla Galleria Internazionale Area Contesa Arte, in via Margutta 90, situata al centro di Roma, alle pendici del monte Pincio, un luogo che anticamente ospitava botteghe artigiane e che negli anni ’50, complice il film Vacanze romane, diventa un posto esclusivo, residenza di personaggi noti come l’attrice Anna Magnani, il pittore Giorgio De Chirico, il regista Federico Fellini e la moglie di questi Giulietta Masina. Oggi, giovedì 18 luglio 2019, è stata allestita la Collettiva d’Arte ESTATARTE, che durerà per tutta l’estate fino al 17 settembre prossimo. All’inaugurazione, che si terrà domani, venerdì 19 luglio, alle ore 18:00, ci saranno gli artisti e i critici d’arte Mara Ferloni e il Maestro Mario Salvo. Noi di Urbanpost abbiamo intervistato in esclusiva una delle protagoniste della mostra, Cinzia Mastroianni. La sua prima esperienza alla Galleria fondata e gestita dalle sorelle Teresa e Tina Zurlo.

Intervista esclusiva di Urbanpost a Cinzia Mastroianni

Grazie infinite per la disponibilità. Come nasce questa collaborazione con la Galleria “Area Contesa Arte”? Deve essere una bella soddisfazione vedere esposte le proprie opere… Qualche timore? O solo tanto entusiasmo?

Il magico mondo dei social! Conoscevo indirettamente la Galleria “Area Contesa Arte” di via Margutta per aver esposto opere di artisti miei amici. Seguivo la vivace programmazione degli eventi via Instagram, finchè un bel giorno di circa un mese fa, mi trovai in direct un messaggio della dottoressa Giulia Palmieri, Art selector della Galleria, la quale mi chiedeva se fossi interessata a partecipare alla seconda edizione della loro rassegna estiva “EstatArte”. Puoi immaginare la mia sorpresa. Solitamente, sono gli artisti a cercare di proporsi – spesso con gran fatica e scarsi risultati – alle gallerie d’arte. Trovarmi destinataria del moto inverso, mi ha riempita di gioia e di sorpresa. Mi sento davvero molto onorata. Qualche timore? Si, come ogni volta che devo esporre i miei lavori e, ovviamente, vista la location, stavolta ancora di più. Sai, da questo (e in realtà anche da svariati altri) punto di vista, sono probabilmente un’artista anomala: esporre i miei lavori allo sguardo altrui mi mette un po’ in tensione e in soggezione, mi fa sentire come nuda in una piazza affollata…e siccome non sono una nudista, puoi immaginare cosa intendo dire.

Quali sono i maestri a cui più o meno guardi?

“Guardare” propriamente a nessuno. “Masticando” la materia, da docente, da storico dell’arte e da studiosa da circa trent’anni, nel momento in cui passo dall’altro lato del tavolo e metto le mani in pasta, non ho bisogno di guardare poiché ho ormai assimilato secoli di storia dell’arte per “osmosi intellettuale”. Ci sono degli artisti che sento particolarmente affini… Burri e Pollock, su tutti! 

Costruzione e decostruzione e poi riciclaggio e riutilizzo dei materiali contano molto nel tuo lavoro?

Sono il 90% del mio modus operandi, sia in fase progettuale che in fase operativa. Spesso l’ispirazione mi viene proprio dai materiali. Certo, è necessaria una determinata pre-condizione emotiva, ma nella maggior parte dei miei lavori, sono stati i materiali a “chiamarmi” per via sensoriale. Perché, vedi, i materiali così come i colori, hanno il potere di comunicare senza necessariamente dover assumere una forma mimetica, riconoscibile e quindi in un certo senso oggettiva e rassicurante. Con riferimento al mio lessico: i vetri rotti, per esempio, comunicano istintivamente un senso di dolorosa frattura, qualcosa inizialmente di bello, luminoso e trasparente, ferito e andato in pezzi, con dolore; il bianco, come insegna Kandinsky ne “Lo spirituale nell’arte” è “come un grande silenzio…un silenzio che non è morto ma è ricco di potenzialità…un nulla prima dell’origine, prima della nascita”. Oltre alla Gestaltica e alla psicologia del colore, c’è una psicologia direi “sinestetica” dei materiali: pensa ai sacchi di Burri, consunti, stracciati, cuciti, li guardi e quasi li senti sotto le dita, ruvidi, logori, e la mente “sente” la ferita di una vita difficile, strappata dal dolore. I materiali usati, nati per assolvere a tutt’altra funzione, consunti, vissuti, sono i miei prediletti: chiodi e viti rugginose, vetri e specchi rotti, lenzuola usurate. Dare una nuova vita a materiali nati per essere altro, oppure ormai inservibili perchè troppo usati, “creare bellezza dalle macerie”, come dico sempre, ecco, questo è il mio mood artistico. Sarà l’eredità del cognome: Umberto Mastroianni fece qualcosa di affine, trasformò “ferraglia bellica” (passami l’espressione più colorita che tecnica) in monumenti di pace, quindi in bellezza.

E la tecnologia in tutto questo che ruolo ha?

Beh è fondamentale ma soprattutto nella fase “comunicativa”. Anche se, nel caso dei miei manufatti, trattandosi di materici in terra d’intersezione tra pittura e scultura, la veicolazione attraverso i mezzi telematici tende ad appiattire e bidimensionalizzare. Già semplicemente fotografare il materico, è difficilissimo: qualcosa si perde sempre. Se poi i materiali usati sono eterogenei e reagiscono diversamente alla luce, come in quasi tutte le mie sculture, è più che comprensibile che io diventi bersaglio di focose imprecazioni da parte del malcapitato fotografo di turno. Agevolare la conoscenza dell’arte in termini di rapidità e raggio di diffusione, facendola uscire dai convenzionali ambienti un po’ “di nicchia”, è il grande beneficio apportato dal mondo fluido del web. Tuttavia, il contatto fisico e diretto fruitore-manufatto è qualcosa di insostituibile.

Che valore ha invece l’irrazionale, l’ispirazione? La cosiddetta «tegola sopra la testa» esiste?

Allora la prima scintilla è sempre fortemente emotiva, quindi irrazionale. L’ispirazione nasce quasi sempre da un eccesso, da una condizione che io definisco di “emotività debordante”, dal troppo: troppa rabbia, troppo dolore, troppa tristezza, troppa delusione. Quasi sempre stati negativi che richiedono di essere incanalati nell’arte per poter reggere e guarire la vita. Ricordo un’intervista di molti anni fa ad Annie Lennox, potente voce degli Eurythmics famosa per performance e look eccentrici, in quell’occasione in un inusuale e sobrio tailleur scuro. La giornalista le chiedeva ragione del suo ultimo lp, in cui inaspettatamente interpretava melodiose canzoni altrui. Lei rispose: “Il fatto è che in questo momento della mia vita sono molto felice. Quindi non posso scrivere nulla di nuovo. La creazione artistica ha sempre bisogno di un po’ di tristezza”. Mi rispecchio molto in questa risposta. Qualche volta, invece, sono le persone ad ispirarmi: persone con cui “a pelle” si instaura una strana, inspiegabile alchimia, persone che emanano un’aura speciale. Ma è molto, molto raro.

Davanti a quale quadro hai pensato: «Sono una pittrice!» o qualcosa del tipo «Farò di tutto per diventarlo!»?

Non penso mai a me come ad un’artista. Da storico dell’arte ho conoscenza e coscienza del peso specifico di questo termine, ahimè, molto abusato oggi. Quindi evito di usarlo riguardo alla mia persona. Un pittore eccellente sul piano dell’abilità tecnico-esecutiva non automaticamente è un artista. Ma qui si aprirebbe un discorso molto complesso… Oltretutto, io sono un curioso ibrido, nel senso che ho una formazione all’arte di tipo bifronte:  tecnico-pratica, poiché ho studiato in un liceo artistico, ma anche teorico-critica, avendo un percorso accademico da storico dell’arte (laurea, specializzazione, master, pubblicazioni scientifiche, ecc).

In un momento culturale come il nostro così oscuro che senso ha fare dell’arte? E soprattutto quanto è difficile?

Fare arte oggi? Difficilissimo. Soprattutto perché – e sembrerà assurdo nell’era dell’immagine imperante – ci stiamo dealfabetizzando rispetto al linguaggio visivo. Più passa il tempo, meno la gente è capace di osservare e comprendere ciò che vede. E non mi riferisco solo ai manufatti artistici, ma alla globalità della realtà in cui vive quotidianamente. Eppure il linguaggio visivo è per l’uomo molto più naturale di quello verbale. Senza scendere troppo nel tecnico, pensaci un attimo: il bambino, come millenni fa l’uomo primitivo, disegna e colora, istintivamente, senza che nessuno gli spieghi come fare, prima ancora di parlare, leggere e scrivere, abilità che deve acquisire sotto guida e con esercizio.  Un po’ perché andiamo troppo di corsa (osservare richiede tempo e attenzione), un po’ perché siamo sottoposti ad un bombing visivo tale che alla fine ci anestetizza: noi oggi ”consumiamo” ma non assimiliamo immagini. Tuttavia, sfidando la difficoltà sempre crescente, sono convinta che quella dell’arte sia una missione ormai impellente: è necessario riportare Humanitas – nel senso latino del termine – ad una umanità drammaticamente disumanizzata. E non credo serva spiegare ulteriormente: le notizie a cui i media ci stanno abituando, ahimè, non sono che reiterazione all’infinito della prova di quanto affermato. 

Grazie infinite, una chiacchierata davvero piacevole, stimolante. Davvero tanti spunti sono venuti fuori e chissà quanta curiosità stanno provando i nostri lettori. Non ci resta che venire alla Mostra in Via Margutta, dove ci saranno oltre alla opere tue anche quelle di altri artisti. Una meraviglia per gli occhi, un invito a riflettere. 

CINZIA MASTROIANNI è nata ad Alatri (FR) il 28 luglio 1975, si diplomata presso lo storico Liceo artistico “Anton Giulio Bragaglia” di Frosinone, poi si laureata e specializzata in storia dell’arte medioevale e moderna all’Università “La Sapienza” di Roma. Oggi è docente di storia dell’arte e storico dell’arte. Quando le chiedono da dove prenda prevalentemente ispirazione, risponde: «Dalle macerie emotive, da ciò che è andato in frantumi, logorato, sfibrato, disanimato. Le cose migliori possono venire dai relitti di una distruzione».

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