In Vita di mio marito, Livia Veneziani Svevo racconta che per convincerla a darle un bacio prima del fidanzamento ufficiale, lo scrittore le promise di non fumare per tre mesi. Così, facendosi beffe della sua conclamata inettitudine, l’autore triestino raggiunse il suo scopo e ottenne il meritato premio. Soltanto successivamente, però, la ragazza scoprì che Svevo le aveva mentito: l’ultima sigaretta non era mai arrivata e sotto il riparo del pegno d’amore aveva continuato a fumare di nascosto, aggiungendo al fumo, vizio che pure ha cercato di debellare per tutta la vita, il peso nevrotico che reca l’agire in segreto.
La sua coscienza, pare scontato, non ne uscì rafforzata. Quel che a noi più importa, però, è che nella Trieste dell’epoca, importantissimo porto commerciale del Mediterraneo e approdo di influenze culturali non solo mitteleuropee, si stava forgiando un’opera letteraria che secondo Bobi Bazlen (famoso per la sua smania di leggere molto e scrivere poco) “è stata uno dei pochissimi contributi vivi […] che la letteratura italiana abbia dato al fin de siècle”. Come Bazlen, anche James Joyce (insegnante di inglese alla Berlitz School di Trieste) rimase positivamente colpito dalla letteratura di quell’uomo in affari e, dopo aver letto Una vita e Senilità, romanzi quasi totalmente ignorati dalla critica italiana, lo distolse dal silenzio letterario nel quale sembrava essere precipitato. Nel 1923, fu pubblicato a Bologna La coscienza di Zeno, opera riportata in scena da una produzione del Teatro Carcano di Milano nella riduzione teatrale di Tullio Kezich. Tra gli attori spicca Giuseppe Pambieri nei panni di Zeno Cosini, a proprio agio nelle fedeli ambientazioni della scenografia, sfondo degli innumerevoli cortocircuiti tra società ed individuo che spostano lo sguardo dal naturalismo descrittivo ottocentesco all’introspezione dell’animo umano, colto in flagrante dalla modernità o – più semplicemente – dal mondo che cambia.
Proprio come il testo scritto, la rappresentazione diretta da Maurizio Scaparro non segue l’ordine cronologico degli eventi, ma coinvolge lo spettatore in un gioco di rimandi narrativi che paiono simulare le associazioni mentali del protagonista, continuamente teso a cercare una spiegazione, chiarirsi un dubbio, trovare il senso degli eventi, superare l’inadeguatezza del vivere anche solo con un sorriso: “la vita non è una malattia da poco, tant’è vero che è sempre mortale”.