Sono passati soltanto pochi mesi dal precedente passaggio di Dario Fo all’Arcimboldi di Milano con “Lu Santo Jullàre Francesco” e ieri, venerdì 28 novembre 2014, il premio Nobel è ritornato nello stesso teatro per la “prima” di “Una Callas dimenticata”, il suo ultimo lavoro scritto con Franca Rame. Lo spettacolo fu peraltro cancellato nel maggio 2013 a causa della dipartita di quella che è stata per l’artista una compagna di vita in modo decisamente trasversale.
Fo racconta tutta la parabola artistica della soprano, dagli esordi fino all’oblio, dall’abbondanza del suo peso al drastico dimagrimento, da Giovanni Battista Meneghini a Luchino Visconti. «Una rappresentazione strana» ha spiegato l’artista al Corriere della Sera, con «molti pezzi cantati, cori e una Callas, interpretata da Sara Bellodi, che si racconta in prima persona».
Sul palco, oltre ad una parte di pubblico come usa fare l’artista nei suoi spettacoli, anche Roberta De Stefano e Jacopo Zerbo, oltre alla già citata Bellodi.
In scena anche svariate pitture realizzate proprio per lo spettacolo da Fo e dai componenti del suo atelier. Uno spettacolo avvincente, nonostante abbia forse bisogno di un po’ di rodaggio, dove non manca mai il tocco ironico del Premio Nobel e che restituisce una Callas più umana e terrena. Una Callas che l’artista incontrò, quasi casualmente, al Teatro alla Scala dove era impegnato, su un trabattello, a rinfrescare alcuni fondali di una scenografia. Mentre la cantante stava attraversando una parte del palco un poco pericolosa, Fo le gridò: «“Fermati, è pericoloso attraversare il palco in questo momento! Non vedi che dalla soffitta stanno calando centine e colonnati della scena? Dove stai andando? Vuoi finire schiacciata come una sfogliatella?” E lei: “Sto andando in proscenio, stiamo provando lì”. All’istante arrivò il responsabile del montaggio che disse: “Non si preoccupi signora Callas, ci penso io”; e così le fece strada prendendosela per mano e l’accompagnò passando da dietro le quinte. Poi la sentii cantare. Tutti noi ragazzi della scenografia ci bloccammo, scendemmo da scale e praticabili. Quindi, badando di non dare nell’occhio, ci avvicinammo al proscenio: di lì a poco eravamo tutti seduti sul pavimento dietro le quinte, ad ascoltare affascinati l’aria di Casta Diva».
Fotografie di Pier Luigi Balzarini