Ogni individuo, nell’arco della propria esistenza, ha un modo tutto suo di ‘rispondere’ alle varie esperienze di vita che si ritrova ad affrontare. Esistono tanti ‘stili emozionali’, ognuno dei quali è strettamente connesso ad un preciso circuito cerebrale. Questo è quanto propone, spiega ed analizza Richard Davidson, professore di psicologia e psichiatria alla University of Wisconsin-Madison, autore, con Sharon Begley, del libro “La vita emotiva del cervello”.
Specialista e studioso del ‘versante affettivo delle neuroscienze’, Davidson, di stili emozionali ne ha individuati ben 6: la “resilienza”, che misura la lentezza o la rapidità con cui ci riprendiamo dalle avversità. Un processo psicologico, questo, di cui non si è pienamente consapevoli, per il quale ci si trascina dietro emozioni conseguenti ad una esperienza, sia essa positiva o negativa. Il test in laboratorio che valuta il tempo di resilienza si basa sull’osservazione del tempo di ammiccamento delle palpebre, infatti più l’esperienza è stata negativa e più si ammicca con frequenza. Poi c’è la “prospettiva”, ossia la capacità di conservare le proprie emozioni nel tempo che, spesse volte, sono di carattere negativo e di stampo depressivo. Ancora, l’“intuito sociale”, che consiste nel riuscire a cogliere quegli ‘indizi’ non verbali che ci fanno capire intenzioni e stati d’animo latenti del nostro interlocutore.
L’”autoconsapevolezza”, invece, è la capacità di leggersi dentro e decifrare le proprie emozioni; un processo che sta alla base dell’empatia, il mettersi nei panni degli altri. La “sensibilità al contesto”, figlia dell’intuizione, è il quinto stile emozionale riconosciuto dal prof. Davidson, che consiste nella capacità del soggetto di riconoscere la eventuale opportunità di un atteggiamento e/o comportamento in una specifica situazione. L’ultimo è l’“attenzione”, ossia la capacità di restare concentrati. Trattasi di un’abilità cognitiva, ma con un versante emozionale: ciascuno ha infatti una soglia di distraibilità a seconda del contenuto emotivo dello stimolo che arriva. “In laboratorio” – spiega Davidson “partiamo da un fenomeno percettivo che prende il nome di attentional blink, letteralmente ammiccamento dell’attenzione: quando uno stimolo cattura la nostra attenzione, nella frazione di secondo seguente non siamo in grado di avvertire altri stimoli”. E tu, di che stile emozionale sei?