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E’ morto Piero Terracina, chi era uno degli ultimi ebrei romani sopravvissuti ad Auschwitz

È morto a Roma, a 91 anni, Piero Terracina, uno degli ultimi sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz. Piero era “A5506”: questa sigla lo ha accompagnato negli anni, prima quando era prigioniero, segnata di nero sull’avambraccio destro, e poi quando, come testimone dell’orrore, guidava gli studenti nei campi di sterminio. Numeri indelebili, che lo hanno affiancato nei ricordi per tutta la vita. Perché Piero, della Shoah, ricordava tutto, e in particolare modo lo sconcerto: “Gli esecutori dell’immane delitto erano uomini come noi, come tutti”.

Piero Terracina

Chi era Piero Terracina

Piero Terracina faceva parte di una famiglia ebraica. Nell’autunno del 1938, con l’emanazione delle Leggi Razziali, fu espulso dalla scuola pubblica. Così proseguì gli studi nelle scuole ebraiche fino al 7 aprile del 1944, giorno in cui venne arrestato a Roma. Non era stato sufficiente riuscire a sfuggire al rastrellamento del 16 ottobre del 1943. Quel 7 aprile, su segnalazione di un delatore, lui, i suoi genitori, la sorella Anna, i fratelli Cesare e Leo, lo zio Amedeo e il nonno Leone David sono stati arrestati, trattenuti per qualche giorno al carcere di Regina Coeli e poi trasportati prima al campo di Fossoli, prima di essere avviati alla deportazione. Era il 17 maggio del 1994.
Quel giorno si può considerare la data di inizio del viaggio che porterà la famiglia Terracina ad Auschwitz. A Siena, durante il trasferimento, ci fu un bombardamento e uno dei deportati riuscì a fuggire. Una volta ripartiti da Fossoli, dopo giorni di fame e di fatica, “ci ricordarono che se qualcuno avesse provato a fuggire, i familiari sarebbero stati tutti uccisi, così come altre dieci persone del carro”. “Non era tanto la fame, ma la sete a sfiancarci: si sentivano i lamenti dai carri, soprattutto dei bambini. Sul nostro eravamo in 64, e non venivano mai aperti: facevamo tutti i bisogni a bordo”.

Piero Terracina

La storia di Piero Terracina

“I prigionieri non lavoravano, ma imparai come dovevo morire: vidi un ufficiale sparare un colpo in testa a un deportato che conoscevo. Fu la prima morte che vidi nella mia vita”. Aveva solamente sedici anni e già conosceva la morte, il terrore, i suoi occhi si preparavano al più terribile degli scenari. “Negare o perdonare è impossibile”, diceva rispondendo a chi tentasse di scavare nella sua coscienza o di rileggere la storia. E mai come oggi è importante capire perché, ha spiegato instancabile fino ai suoi 91 anni.
Una volta separato dagli altri famigliari, non rivide mai più nessuno: “Svestiti, depilati, tatuati. Senza scarpe. Stipati a rispondere alle domande incalzanti di persone vestite che ci dicevano che i fumi del camino erano già i nostri cari”, è l’arrivo al campo di concentramento dove le punizioni cominciarono subito. “Arrivammo dentro il campo di concentramento, dalle fessure vedevamo le SS con i bastoni e i cani. Scendemmo, ci picchiarono, ci divisero. Formammo due file, andai alla ricerca dei miei fratelli, di mia madre, noi non capivamo, lei sì: mi benedì alla maniera ebraica, mi abbracciò e disse “andate”.”
I ricordi sono indelebili: “Ho pianto in una sola occasione: quanto i miei fratelli mi raggiunsero la sera dopo il lavoro e mi dissero che mio zio, entrato con noi al campo, era stato selezionato per andare a morire nelle camere a gas. Mi riferirono che aveva detto di non essere tristi per lui, perché le sue sofferenze sarebbero finite presto”, raccontava. ““Dove sono i miei genitori?”, chiesi a un altro sventurato. E lui rispose: “Vedi quel fumo del camino? Sono già usciti da lì””.
Piero venne destinato al blocco 29, la zona in cui venivano stipati i minori di 18 anni. Il lavoro era “sfiancante, lavorammo tutta l’estate con i picconi: per bere solo fanghiglia dal terreno a smorzare la sete, ma c’era chi non resisteva”. Totalmente debilitato, fu ricoverato nell’ospedale del campo e il 19 gennaio del 1945 venne evacuato insieme ai pochi prigionieri rimasti. Durante la marcia le sentinelle SS si diedero alla fuga per sfuggire alle truppe russe che avanzavano. Piero cercò un riparo dal freddo e raggiunse il campo di Auschwitz, ormai abbandonato: “Il freddo era terribile e la misera coperta che avevamo noi pochi rimasti gelava all’altezza della bocca, diventando un blocco di ghiaccio”. Il 27 gennaio del 1945 è il giorno della sua rinascita: venne liberato dalle truppe sovietiche.

Piero Terracina

Piero Terracina, morto all’età di 91 anni

I messaggi di addio rivolti a Piero Terracina sono stati tanti. La Comunità Ebraica di Roma lo ha definito un “baluardo della memoria”: “Piero Terracina ha rappresentato il coraggio di voler ricordare, superando il dolore della sua famiglia sterminata e di quanto visto e subito nell’inferno di Auschwitz, affinché tutti conoscessero l’orrore dei campi di sterminio nazisti”- si legge nella nota- Oggi piangiamo un grande uomo e il nostro dolore dovrà trasformarsi in forza di volontà per non permettere ai negazionisti di far risorgere l’odio antisemita”, conclude la nota firmata da Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica romana.
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha espresso “ai suoi familiari e alla comunità ebraica di Roma esprimo sentimenti di vicinanza e cordoglio. Ho appreso con tristezza la notizia della scomparsa di Piero Terracina, ultimo tra i sopravvissuti della deportazione degli ebrei romani e testimone instancabile della memoria della Shoah”, si legge nella nota.
Piero era “un faro in tempi odio e negazionismo” per la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni che scrive: “Caro Piero, prendere commiato da te, dalla tua vita, dal tuo sorriso e dalla tua voce è straziante. Sei stato un gigante, un uomo formidabile capace di gettare il cuore oltre ogni ostacolo. (…) Continueremo in questo tuo cammino ad esigere verità e dignità per ogni essere che tu abbracciavi con la tua fede”.
Dal mondo della politica, anche il Premier Conte ha ricordato la scomparsa del testimone della Shoah: “Primo Levi ammoniva di non togliere il segnalibro della memoria dalla pagina dell’Olocausto – si legge nel tweet – Addio a #PieroTerracina, la sua testimonianza su Auschwitz è memoria collettiva: un patrimonio che ora tocca a noi alimentare perché possa trasmettersi anche alle future generazioni”.
“”Le sue parole continueranno a vivere negli occhi dei tanti ragazzi che ha incontrato in questi anni. Piero era una persona libera anche nel denunciare omissioni e silenzi di questi anni. Il suo rigore, il suo dolore, la sua inquietudine nel vedere il ritorno di segnali pericolosi devono essere per noi spinta all’impegno”, ha scritto invece il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti. Sono solo alcuni dei tantissimi messaggi pubblicati in ricordo di Piero Terracina, a dimostrazione di quanto fosse significativa la sua vita, la sua memoria e la sua testimonianza. Perché “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre”, diceva Primo Levi.

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