“Oltre il danno la beffa”, verrebbe da dire se non si trattasse del disastro dell’Ethiopian Airlines in cui parlare di scherno sarebbe quanto meno offensivo. “Un simbolo”, così è stato definito il piccolo sacchetto di terra nera consegnato alla vedova di Sebastiano Tusa, l’archeologo siciliano che perse la vita a bordo del Boeing 737 Max 8, insieme alle altre 157 persone con cui viaggiava. È ancora vivo il dolore per la tragedia che il 10 marzo 2019 sconvolse i cieli di Addis Abeba poco dopo il decollo. E ancora oggi, i parenti delle vittime non hanno nulla su cui piangere. E potrebbero non averlo mai.
Ethiopian Airlines, sacchetto di terra: “Qualcosa da tenere in mano”
I resti di Sebastiano Tusa – così come quelli delle altre vittime del volo – potrebbero, infatti, non arrivare mai. Quel sacchetto consegnato a Valeria Patrizia Livigni, moglie dell’archeologo, dai funzionari della Farnesina è “Qualcosa da tenere in mano, in attesa di quanto potrà arrivare solo dopo l’esame del Dna su poveri resti…” , ha spiegato la dottoressa Livigni al Corriere. Alla consegna del sacchetto – che altro non è se non del terriccio raccolto nell’area del disastro – si sono sottratti, invece, i parenti di altri vittime come Flaminia Buzzetti, sorella di Maria Pilar, la volontaria di Medici Senza Frontiere, o i familiari di Virginia Chimenti, consulente finanziario del programma alimentare delle Nazioni Unite.
Ethiopian Airlines disastro: in atto la denuncia per omicidio colposo
Intanto, tutti concordi, i parenti delle vittime del disastro dell’Ethiopian Airlines stanno proseguendo nella denuncia per omicidio colposo nei confronti della Boeing, tramite l’avvocato Fabrizio Arossa di Roma e gli studi legali Kreindler & Kreindler LLP di New York e Power Rogers & Smith LLP di Chicago. L’accusa riguarda anche tutti coloro che, a vario titolo, avrebbero dovuto bloccare l’installazione della strumentazione responsabile dell’incidente.