Continua il viaggio iniziato la scorsa settimana nella filosofia del fotoritocco.
Parlando di fotoritoco vorrei trattare un discorso relativo alla realizzazione di una postproduzione non invasiva. Sistemare una fotografia in post è lecito, ma questa deve, almeno in alcuni casi, essere realista. Il fotoritocco ci deve essere ma non si deve vedere. Questa regola vale in particolare per la fotografia naturalistica, quella di paesaggio o il ritratto.
I software di fotoritocco sono diventati estremamente potenti e permettono di operare modifiche veramente pesanti. Questo si può rivelare un’arma a doppio taglio nel caso in cui si esageri e si creino immagini totalmente irreali. Internet è piena di paesaggi dai colori impossibili, cieli troppo contrastati o talmente saturi da sembrare posticci. Queste immagini, insieme ai ritratti dove il modello o la modella sembrano di plastica o ceramica non sono quasi mai buone immagini perché l’eccessivo fotoritocco fa sì che quello che è ritratto in foto si allontani troppo dalla realtà.
Esistono rari casi in cui è possibile allontanarsi volontariamente dalla realtà applicando correzioni particolari ad una fotografia, ma non va dimenticato il buon gusto e soprattutto gli effetti irreali della postproduzione devono essere giustificati. Una fotografia con una modella che sembra una bambola di ceramica può funzionare ad esempio se si vuole parlare di come l’industria pubblicitaria tende a propinare “modelli di realtà” che di reale non hanno nulla. La stessa immagine però non può funzionare con un ritratto di un amico o parente davanti ad un monumento. Spesso è difficile capire se si sta esagerando con la post. In caso di dubbio io consiglio di effettuare una post più leggera: se il cielo sembra eccessivamente saturo e contrastato la cosa migliore è diminuire questi parametri e riportare la nostra immagine più vicina alla realtà