A terra, sotto sequestro, c’è materiale per un milione e 700mila tonnellate. Acciaio stipato nell’area portuale dell’Ilva di Taranto. Materiale che, messo in circolazione, potrebbe perlomeno stoppare l’emorragia e che, invece, resta “off limits”.
IL “NO” DEL TRIBUNALE Il Gip del Tribunale di Taranto, Todisco, ha rigettato la richiesta di dissequestro. La decisione pende come la classica spada di Damocle su prodotti finiti e semilavorati dal valore commerciale di un miliardo di euro, destinati alla vendita ma anche al trasferimento in altri stabilimenti del gruppo. Il Gip, accogliendo la tesi della Procura, ha ribadito che il decreto salva-Ilva non è retroattivo. Con la conseguenza che la reimmissione nel possesso dei beni in favore del Siderurgico opera solo dalla data di entrata in vigore del decreto stesso e non per il passato. Quella merce, prodotta prima del 3 dicembre, è “intoccabile”. Con i sigilli. Senza facoltà d’uso.
CONSEGUENZE “Drammatiche” – bolla subito l’azienda che lancia l’allarme sul piano occupazionale ed economico. A cascata e da subito, fanno sapere i vertici,“ rimarranno senza lavoro circa 1.400 dipendenti”. In primis gli addetti alle aree Laminazione a freddo, tubifici e servizi correlati.
SI MUOVE IL GOVERNO E’ già partita la macchina organizzativa per “dribblare” il rigetto della richiesta di dissequestro. L’Ilva ha già annunciato ricorso in Tribunale. In campo anche il Governo che, per quanto barcollante, non si tira indietro. Il Ministro dell’Ambiente Clini si appresta a presentare un emendamento “interpretativo” al decreto salva-Taranto. E’ il tentativo estremo di aggirare l’ostacolo e superare lo stallo. “ La facoltà di commercializzazione dei manufatti da parte dell’Ilva – ha detto il Ministro – riguarda anche quelli prodotti prima dell’entrata in vigore del decreto e attualmente posti sotto sequestro”. E’ lotta contro il tempo per trovare la “pezza”, rispettando le Istituzioni e, soprattutto, evitando di “inguaiare” il Natale ad altre famiglie.