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Imane Fadil, così morì la modella teste del processo Ruby: il racconto di un amico

“Una candela che faceva luce ovunque”, così John Pisano ricorda Imane Fadil, l’ex modella teste del processo Ruby. Una luce che “In pochissimo tempo si è consumata” e “Ora mi resta un buio profondo”. È un racconto doloroso quello che il 55enne, amico ‘fraterno’ – come lui stesso si definisce – di Imane affida ad una lunga intervista a Repubblica, ricordando gli ultimi giorni della ragazza, tra deliri e sofferenze. John e Imane si erano conosciuti nel 2012, lui era da poco tornato in Italia, dopo aver girato il mondo come volontario in progetti formativi per i giovani. In quel periodo, lavorando come venditore part-time di elettrodomestici, aveva messo i primi annunci sul web per insegnare inglese, da privato. E fu proprio così che si conobbero: “Guidavo il furgone verso Varese, quando chiamò lei”, ricorda Pisano. Sin dalla prima lezione a domicilio, tra John e Imane si instaurò una bella sintonia: dopo tre mesi non aveva più bisogno di ripetizioni ma tra loro si creò un legame indissolubile tanto da chiamarsi ‘fratelli’. “Già allora soffriva moltissimo. – racconta John – Ogni volta che doveva ricordare i fatti delle serate ad Arcore, riviveva la vergogna, l’onta di essere messa nel calderone delle ‘olgettine’. Imane era una persona di una moralità altissima, che si è scontrata da subito con quel mondo”.

Imane Fadil, l’inizio della convivenza con Pisano e il ricovero in ospedale

La convivenza di Imane Fadil e John Pisano cominciò l’11 novembre scorso (2018), quando la modella – non potendo più pagare l’affitto per mancanza di lavoro – si trasferì dal 55enne. “Faceva i provini come hostess, – rivela l’amico della trentaquattrenne – e sentiva nei camerini le altre ragazze dire ‘quella è un’olgettina’. Poi ha fatto colloqui come barista o commessa nei negozi del centro di Milano, e diceva di essere sempre tampinata. Non perché era bella, ma perché pensavano che fosse disponibile, non riusciva a liberarsi dal mondo del ‘Bunga Bunga’. E così ha smesso di cercare lavoro. Una maledizione che andava avanti da quando si seppe di Ruby”. E continua: “Mi ha raccontato che in quelle settimane non usciva di casa, aveva perso i capelli, dimagriva, si vergognava di sé stessa. Anche se non c’era ragione. Lei non ha mai voluto fare la valletta. Il suo sogno era fare la giornalista sportiva e mi spiegava che aveva accettato di andare ad Arcore per parlare con Berlusconi perché entrambi si intendevano di calcio”. Fu proprio quello l’inizio dell’incubo.

L’argomento della lunga intervista a John Pisano, si sposta, poi, sull’ultimo periodo, quello della malattia. “Imane ha sempre avuto una salute di ferro, – racconta John – non si ammalava mai. Quest’anno, a ottobre, abbiamo avuto l’influenza negli stessi giorni. Poi, credo fosse il 10 gennaio, inizia a dire che non si sentiva bene. Una settimana dopo parte un leggerissimo ma costante peggioramento quotidiano. Finché il 24 decido di chiamare la guardia medica, perché lei era debole, non si alzava più dal letto, ma non voleva andare in ospedale”. “È pericoloso, qualcuno mi può fare del male”, diceva Imane. Finché, martedì 29 gennaio, John riesce a convincerla. “Viene portata in ambulanza e io la seguo in auto, – ricorda l’amico – e resto sempre con lei. Il giorno dopo, parlo per la prima volta con un medico, mi spiega che fegato e polmoni sono danneggiati, un rene non funziona. Non riescono comunque a capire cosa abbia: mi chiedono se assume farmaci, droghe, se è stata esposta a escrementi di topi. Ma lei non prendeva medicine, le droghe non le ha mai nemmeno provate, aveva visto un topo vicino casa due anni prima”.

Imane Fadil, l’ultima sera e il sospetto di avvelenamento

Nessuno sapeva che Imane fosse ricoverata, nemmeno il suo avvocato. Solo il 10 febbraio, la modella decide di avvisare due amici di Chiaravalle, dove in precedenza aveva vissuto, lontano da tutto. “Poi una notte sta davvero male, mi scrive che delirava, che chiamava la madre e il padre, così si decide ad avvisarli”. Il ricordo giunge, dunque, a quell’ultima notte: il 28 febbraio 2019. “Stava davvero male, nemmeno gli antidolorifici o i massaggi che le facevo placavano ormai il dolore. ‘Non mi lasciare sola John’, mi diceva. Pensarci ora mi fa ancora tanto male. Aveva fortissimi dolori all’addome. Sul letto c’era una chiazza di sangue, e lei tossiva e sputava sangue. Grumi, non liquido. Le dicevo che dovevo tornare a casa, ma lei mi chiedeva di rimanere, di dormire accanto a lei. Io però dovevo andare. […] Avevo due impulsi: da una parte stavo male ad andare via, dall’altra era come se sentivo di dover andare. Alla fine le ho detto ‘sister, adesso vado, ci vediamo domani’. Ma non l’ho più vista”.

Sulle ragioni che hanno portato Imane Fadil alla morte, John Pisano non si sbilancia: “Non posso parlare di questo, – dice – c’è l’indagine in corso. Dico solo che è stata male dopo una cena, un mese fa”. L’ipotesi di avvelenamento è stata sospettata dai medici dopo aver trovato nel sangue della ragazza un’alta concentrazione di metalli pesanti. “Né io né lei ci avevamo pensato, – afferma Pisano – ma dopo abbiamo fatto un collegamento con un certo periodo, con un fatto preciso”. “Qualcuno deve darci una risposta sulla presenza di metalli in una quantità, non mortale, ma molto superiore alla norma”, dice. E in merito ai rapporti sentimentali di Imane, confessa: “A volte lei diceva di avere il fidanzato solo per evitare che qualcuno la importunasse”. La cosa – dice – accadeva spesso: “Purtroppo lei sentiva addosso lo stigma delle cene eleganti di Arcore. ‘Mi hanno fatto terra bruciata’, diceva”.

Imane Fadil, la rabbia dell’amico John

Adesso che Imane Fadil non c’è più, “Mi resta la rabbia per le ingiustizie che ha subito prima da viva, poi da morta – conclude l’inseparabile amico John Pisanocon chi continua a fare illazioni sulla sua vita, o a dire che sia morta per una forte depressione. Lei era forte, combattiva. Nel letto di ospedale, tra mille dolori, non ha mai ceduto di un millimetro. Le facevano male le persone, più passava il tempo, più diceva che non poteva fidarsi di nessuno. Mi aspetto delle risposte chiare dalla giustizia. Lei per me era come una candela che faceva luce ovunque, e in pochissimo tempo si è consumata. Ora mi resta un buio profondo”.

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