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In carcere si muore ma Cancellieri e Pd lo ignorano: forzata fiducia tra proteste e petardi

Il ronzio dell’elicottero che riecheggia tra i vicoli del centro storico di Roma. Quello che serve per controllare dall’alto, per arrivare con lo sguardo dove i palazzi e le mura, da terra, nascondono. La Digos che gira sulle enduro, rigorosamente in due, rigorosamente senza casco e radietta alla mano, alla ricerca dei circa 80 attivisti che poco prima i celerini avevano disperso con una carica di alleggerimento: si erano radunati sotto la sede del Pd a via Sant’Andrea delle Fratte a lanciare petardi dopo che i democratici oggi in Parlamento hanno appoggiato compatti la decisione del Premier Enrico Letta di bocciare la mozione di sfiducia al Guardasigilli Anna Maria Cancellieri.

Sede Pd

 

Il caso Ligresti si è risolto così, almeno nei palazzi di governo. Blindata via Sant’Andrea delle Fratte, blindata piazza Colonna. Ma alla Camera, tra i cartelli di protesta del Movimento 5 Stelle, con 405 no, 154 sì e tre astensioni, è stata respinta l’idea di sfiduciare il ministro della Giustizia, accusata da larga parte dell’opinione pubblica e da alcuni partiti di aver interceduto per favorire la scarcerazione di Giulia Ligresti, arrestata nell’ambito dell’inchiesta Fonsai, il gruppo assicurativo che faceva capo alla famiglia Ligresti. L’altra figlia, Jonella, ha ottenuto sempre oggi gli arresti domiciliari. Quasi contemporaneamente è stato reso pubblico un passaggio del verbale di Salvatore Ligresti, interrogato nell’inchiesta milanese su Fonsai: “Mi feci latore (presso Silvio Berlusconi) del desiderio dell’allora Prefetto Cancellieri che era in scadenza a Parma e preferiva rimanere in quella sede anziché cambiare destinazione”. La segnalazione “ebbe successo”. A riprova di un rapporto consolidato tra le due famiglie che, come in ogni amicizia, spesso prevede anche scambi di cortesie e che può sfociare in rapporti di lavoro, come per esempio nel caso del figlio della Cancellieri, Piergiorgio Peluso, ex direttore generale della Fondiaria Sai, la società assicurativa di Salvatore Ligresti “salvata” dall’intervento di Unipol, al quale è andata una buonuscita di 3,6 milioni di euro.

Un rapporto che sembra troppo stretto e che a tanti ha fatto pensare che il Guardasigilli abbia agito secondo una parzialità che non dovrebbe essere propria del ministro della Giustizia italiana, applicando un particolarismo legato ad un rapporto personale, avallato da una serie di telefonate. Tra le tante una intercettazione tra il ministro e Gabriella Fragni, compagna dell’ingegner Salvatore Ligresti, che risale al pomeriggio del 17 luglio scorso: “Comunque guarda, qualsiasi cosa io possa fare (per Giulia Ligresti) conta su di me, non lo so cosa possa fare però guarda son veramente dispiaciuta”. Il ministro si è giustificata spiegando che “nel caso di Giulia Ligresti, non appena avuta conoscenza, per via diretta, delle condizioni psicofisiche della ragazza, era mio dovere trasferire questa notizia agli organi competenti dell’Amministrazione Penitenziaria per invitarli a porre in essere gli interventi tesi ad impedire eventuali gesti autolesivi”.

Piazza Colonna1

 

Ma allora la rabbia dei tanti dove sta? Forse nel fatto che non tutti possono far venire a conoscenza del Ministro della Giustizia “per via diretta” le proprie condizioni di disagio in carcere. O per lo meno non ci sono riusciti i 139 detenuti che hanno perso la vita da inizio anno. Come il caso, riportato da Notizie Radicali, di Federico Perna, 34 anni, morto l’8 novembre nel carcere di Poggioreale (Napoli), per “collasso cardiocircolatorio”. In nessun modo la famiglia di Federico è riuscita a comunicare a qualcuno che “mio figlio – ha spiegato la madre, Nobila Scafuro – mi disse che perdeva sangue dalla bocca quando tossiva. Federico non doveva restare in carcere, ma essere ricoverato in ospedale: aveva bisogno di un trapianto di fegato ed era stato dichiarato incompatibile con la detenzione da due diversi rapporti clinici. Invece da Secondigliano è stato trasferito a Poggioreale, dove le sue condizioni di salute si sono ulteriormente aggravate: sputava sangue, letteralmente, e chiedeva il ricovero disperatamente da almeno dieci giorni, lamentando dolori lancinanti allo stomaco. Abbiamo appreso della sua morte tramite la lettera di un compagno di cella, con il quale Federico aveva stretto amicizia. Non sappiamo nemmeno dove sia morto, perché le versioni sono diverse”.

E dei 139 dovrebbe ricordarsi il Partito Democratico, che oggi ha deciso di votare la fiducia alla Cancellieri solo per un semplice, freddo, cinico gioco di equilibri politici. Oggi in aula ministro ha ribadito che “non c’è stato nessun inconsueto zelo, né un’anomala tempestività, ma un’ordinaria attività di prevenzione” ed ha rifiutato “con fermezza” l’idea di una “giustizia di classe”, spiegando di essersi comportata in osservanza ai “doveri di ministro” ed alla “coscienza”. Sul comportamento del ministro Cancellieri – come ha raccontato oggi Il Giornalesi sta muovendo la Procura di Roma, per ora con un fascicolo senza ipotesi di reato né indagati, voluto per comprendere se c’è l’ipotesi di un reato comune, che potrebbe essere false informazioni ai Pm torinesi sui contatti con Ligresti nell’interrogatorio del 22 agosto a via Arenula. Ancora Il Giornale spiega che ci potrebbe essere la possibilità di ipotizzare un reato ministeriale, come eventuali pressioni della Cancellieri per la scarcerazione di Giulia Ligresti (in questo caso tutto poi dovrebbe essere trasmesso al Tribunale dei ministri per gli accertamenti).

Ma, indipendentemente dall’esito delle eventuali decisioni della magistratura, per tanti l’intervento della Cancellieri per Giulia Ligresti proprio si fa fatica a non farlo passare per un comportamento che è andato a privilegiare chi ha avuto la possibilità di far giungere la propria voce nei salotti frequentati dal Ministro della Giustizia. Forse dovute le dimissioni a questo punto, non tanto per cavilli burocratici, ma etici e morali. Pare ovvio (ed in tanti lo hanno fatto) ricordare le parole di Enrico Berlinguer, a Tribuna Politica, il 15 dicembre 1981, a proposito dei ministri del Governo coinvolti nello scandalo P2: “Non c’è bisogno di aspettare l’intervento della magistratura. Di fronte a fatti così gravi, che ledono il prestigio delle istituzioni, sarebbe doveroso da parte dei ministri coinvolti rassegnare le proprie dimissioni ed avere il gusto, lo stile, di ritirarsi dalla politica e cambiare mestiere”.

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