A un anno di distanza dal terribile attentato di Barcellona UrbanPost ha intervistato Martina Sacchi, la compagna di Bruno Gulotta, morto nel tentativo di mettere in salvo la sua famiglia. Un modo per ricordare quel maledetto giovedì 17 agosto 2017, ma soprattutto per rendere omaggio ad un uomo, un eroe dei giorni nostri, che fino alla fine non ha fatto altro che pensare ai suoi cari.
Barcellona. 17 agosto 2017. Sono più o meno le 16.50. Un furgone Fiat Talento bianco irrompe nella zona pedonale della Rambla, il viale più famoso della città. Niente sarà più come prima. A tutta velocità falcia al suo passaggio donne, uomini, bambini. Il bilancio definitivo è di 14 vittime, oltre 130 i feriti. Tu eri lì con la tua famiglia, Martina, con il tuo compagno Bruno. È una domanda che ti sarà stata fatta un milione di volte, ma cosa ricordi di quei terribili momenti?
«Ricordo tutto nei dettagli, eravamo andati sulla Rambla per fare una passeggiata, volevamo prendere dei souvenir per i parenti. Abbiamo preso il taxi per arrivare lì, perché Alessandro, mio figlio, era stanco di camminare. Appena siamo scesi, neanche il tempo di fare 200 metri, ho sentito le urla. Istintivamente mi sono girata e ho visto il furgone, in quel momento ho pensato: ‘Stiamo per morire tutti!’. Così ho lanciato via il passeggino con dentro la piccola Aria e a Bruno ho urlato: ‘Amò, corri!’. Lui mi ha lanciato addosso Ale. Tempo di prenderlo e trascinarlo: il furgone era già passato davanti. Mi sono girata per vedere se anche Bruno stesse bene, e da quel momento è iniziato l’inferno».
Parliamo della Fondazione Bruno Gulotta. Come nasce? Quanto avete raccolto? Marco Tajana ha parlato di 200mila euro, una cifra che potrà aiutarti nella crescita dei bambini. In un momento così difficile hai sentito attorno a te il calore della gente, dei parenti e amici? Puoi dire lo stesso delle istituzioni? È di questi giorni la notizia della richiesta di risarcimento …
«La fondazione Bruno Gulotta Onlus è nata in seguito alla raccolta fondi fatta dal capo di Bruno. Dato che era stata raccolta una cifra abbastanza consistente si è messo di mezzo un giudice che ha vietato di dare i soldi direttamente a me. Quindi hanno creato la fondazione. Dalla gente ho avuto conforto solo nel primo periodo, ora è come se non fosse mai successo niente. Mi devo arrangiare! Dalle istituzione peggio che mai. Ok, io e Bruno non eravamo sposati, però sono sempre la madre dei suoi figli. Un anno dopo sono ancora qui dietro a scartoffie burocratiche senza aver risolto nulla. In sostanza si sono solo messi in mostra nei giorni immediatamente successivi all’attentato, poi si sono dileguati tutti i politici con buoni e apparenti propositi. L’unica che si è occupata di me è l’azienda per cui attualmente lavoro: Esselunga. In seguito all’accaduto mi è stato offerto un posto di lavoro».
Quando ti senti più sola? Quando l’assenza di Bruno pesa di più? Deve essere difficile convivere con un dolore simile, «rieducarsi» al nuovo. Quando si perde qualcuno di così importante, immagino si faccia fatica ad andare avanti con la propria vita. Forse anche un senso di colpa: ridere quando lui non può farlo più, essere felici senza di lui … Hai un modo per sentirlo più vicino?
«Non mi sento sola, ho i nostri figli che sono un uragano di positività e affetto. Mi fa stare male che Bruno non possa vedere tutti i progressi dei suoi figli. Non ha visto i primi passi di Aria, non la sentirà mai parlare, non vedrà mai il suo sorriso. Lui era contentissimo e iper protettivo nei suoi confronti, parlava già di quando sarebbe stata adolescente e che l’avrebbe protetta da tutto e tutti. Entrambi i bambini erano attaccati al padre e sono nera, per il fatto che l’unico modo per poterlo vedere sia solo una fotografia in sala! Bruno sarà sempre con me, negli occhi dei nostri figli che sto cercando di crescere come avrebbe voluto lui».
A Sanremo ha trionfato la canzone Non mi avete fatto niente, brano nato dalla lettera di Antoine Leiris, l’uomo che perse la moglie, la madre di suo figlio, durante l’attentato al Bataclan a Parigi. Ma è davvero così per i familiari delle vittime?

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