«È importante quello che è successo grazie al #MeToo. Ed è grandioso quanto sta accadendo nella nuova percezione del corpo femminile. Ma va fatto un distinguo, perché io rivendico il mio corpo come oggetto del desiderio. E nessuno può né deve dirmi quello che devo o posso fare con il mio corpo. In queste foto, per esempio, mi sono presentata nuda. Che bisogno c’era, direbbe qualcuna. La mia risposta è semplice: a 55 anni non ho nessuna intenzione di nascondermi in casa. Non riesco proprio a sentirmi vecchia, anzi, mi sento completamente in pista, nel mondo, con la voglia di essere nuda, amata, desiderata!», comincia così l’intervista della famosa attrice Isabella Ferrari, che si è messa a nudo per Vanity Fair. Lo ha fatto “fisicamente”, tant’è che a 55 anni ha posato senza veli per un servizio fotografico, e “spiritualmente”, raccontando della sua rara malattia.
Isabella Ferrari: «Nessuno può né deve dirmi quello che devo o posso fare con il mio corpo»
Vanity Fair ha dedicato all’attrice la copertina dell’ultimo numero in edicola da mercoledì 30 ottobre, in cui è contenuta pure l’intervista rilasciata al direttore Simone Marchetti. In essa Isabella Ferrari si è raccontata come ma prima d’ora, parlando dei suoi progetti lavorativi e anche del suo passato, fatto di alti e bassi, come quello di tutti noi, del resto. Al momento è impegnata sul set di Sotto il sole di Riccione, scritto da Enrico Vanzina e diretto dal duo Younuts: «Non si può certo considerare un sequel di Sapore di mare. Però a me piace pensare che lo sia. Perché interpreto il ruolo che fu di Virna Lisi. E perché finalmente questa volta mi fanno fare la parte della vecchia. Una liberazione. Perché oggi sono più tranquilla. Sul set. Nella vita. In tutto», ha detto Isabella Ferrari, che deve la popolarità proprio al ruolo della giovane Selvaggia, protagonista del film cult degli anni ’80 con Jerry Calà e Christian De Sica.
La malattia: «Non è la paura di morire, ma quella di vivere…»
«Subito dopo l’uscita di Sapore di mare ho conosciuto la depressione. Non ero pronta a quel successo. Quando scendevo per strada, tutti mi chiamavano Selvaggia, non potevo più fare nulla da sola», ha confidato l’attrice, che ha parlato poi della sua rara malattia: «Qualche anno fa succede che una mattina mi sveglio e non riesco più a muovere le gambe. Tutto è precipitato in fretta. Inizia il calvario delle visite e delle diagnosi. E le diagnosi si dimostrano sempre sbagliate, anche quelle fatte da medici e ospedali stranieri. Vado all’estero, mando il mio sangue per esami negli Stati Uniti. Poi arrivano i dolori accecanti, il cortisone. Una notte, era il 2 giugno, mi ricoverano in un ospedale vicino a casa, a Roma. Lì incontro il medico più importante per me. La diagnosi che fa non è per niente buona. (…) Non farò il nome di questa malattia rara perché appena l’hanno fatto a me sono andata su Internet, ho digitato la patologia e mi sono spaventata. Insomma, il medico suggerisce una terapia importante e pericolosa, qualcosa che poteva funzionare solo in una percentuale di casi. Io decido di non farla e parto per Pantelleria».
«Quando non potevo muovermi, dal letto della struttura chiamavo i miei figli via Skype per restare ancorata a loro…»
Un periodo buio per l’attrice: «Ero lucidissima, quell’estate, per via delle dosi di cortisone. Dipingevo, mi sentivo molto illuminata e ogni tanto provavo a preparare al peggio i miei figli. Poi la situazione peggiora, mi riportano a Roma d’urgenza e inizio la terapia. – ha raccontato Isabella Ferrari – Ogni mattina, per due anni, sono andata in quell’ospedale. E quando non potevo muovermi, dal letto della struttura chiamavo i miei figli via Skype per restare ancorata a loro e alla vita. Piano piano, un passo alla volta, ce l’abbiamo fatta. Ed eccomi di nuovo in pista, appunto. (…) Ho avuto tanta paura di vivere quando avevo vent’anni. E mi sono fatta venire pure gli esaurimenti con la depressione. La recente malattia, però, mi ha fatto capire che non devi avere paura di morire. Perché è la paura di vivere a fregarti. Solo quella. Soltanto quella».