Ma l’arte cosa c’entra? Qui la novità.
Gli anziani affetti da Alzheimer, vengono portati nei Musei che hanno aderito a tale progetto e in questi luoghi possono fruire di opere d’arte appositamente selezionate; operatori specializzati li invitano, guardando le opere e giocando sull’immediatezza dello stimolo visivo, a dar voce alle proprie emozioni, ad immaginare e verbalizzare una storia, inventando dei veri e propri racconti.
Ecco che personaggi, luoghi, azioni fluiscono spontaneamente dalla fantasia.
A volte poi, l’immaginario può richiamare frammenti della storia personale di ognuno.
E allora la donna in primo piano nell’opera di E. Manet, “Un bar aux Folies Bergere”, appoggiata mestamente ad un bancone, acquisisce un nome, a volte un cognome, un’età anagrafica; un bar brulicante di persone diventa “quel bar” e il soggetto maschile riflesso nello specchio richiama alla mente un uomo conosciuto nel passato.
Nei malati di Alzheimer la mancanza di memoria a breve e lungo termine rappresenta un vero e proprio ostacolo al “vivere quotidiano”.
Nelle grandi opere d’arte il tempo “non ha età” e i simboli iconografici possono portare con sé significati universali: quale migliore strumento per stimolare la mente e le emozioni.
In una realtà dove rigide strutture sociali e mentali governano le nostre esistenze, grazie a tale esperienza, “pazienti” un po’ speciali hanno modo di potersi di nuovo esprimere, di far sentire la loro voce, di percepirsi per un attimo parte della società, in un ambiente “protetto” e stimolante come quello del Museo.
Possiamo davvero dire che l’arte, in questo contesto, assume un ruolo inclusivo, terapeutico.
L’arte è, per una volta, al servizio della salute.
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