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Lee Friedlander e l’ordinaria rivoluzione

Il punto nevralgico del lavoro di questo importante fotografo americano, nato ad Aberdeen nel 1934, è quello di avere rivoluzionato la fotografia americana del secondo dopoguerra partendo dall’ordinario e dal banale.  Friedlander è un fotografo sociale, che descrive con grande acume la società americana inglobando nel suo lessico visivo luoghi anonimi ed ordinari e restituendo immagini profonde e complesse che evidenziano simboli e mutamenti della società moderna.

Le immagini di Friedlander possono sembrare confuse, occorre studiarle con cura per riuscire ad estrapolarne tutta una serie di significati variamente stratificati ed articolati. La molteplicità dei significati è resa dalla moltiplicazione dei punti di vista all’interno dell’immagine tramite l’uso di cornici, riflessi, specchi o vetrine. Un altro fattore chiave nell’opera di questo autore è l’utilizzo della città come se fosse un vocabolario, dove cartelli, insegne, scritte, ma anche i manufatti e le persone diventano parole per raccontare la società.

Significativa da questo punto di vista è la serie “letters from the people”, dove una marea di segni grafici: graffi, scarabocchi, cartelli raccontano, in un caos visivo che ben descrive la molteplicità e complessità della società americana, i vari messaggi di scherno, protesta, rabbia o amore che gli individui generano costantemente. Altrettanto significativa è la serie “little screens” dove l’autore fotografa televisori in camere d’albergo o salotti di abitazioni private. Questa serie è una sorta di universo nell’universo dove l’immagine della stanza è compenetrata da quella trasmessa dal televisore, ciò è funzionale ad enfatizzare il senso di desolazione e solitudine della società (che in città va troppo di corsa), ma serve anche a raccontare dello strapotere dei media e dell’uso che ne fa la politica.

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