Surclassata dalla notizia della decadenza di Berlusconi, l’approvazione della Legge di Stabilità è passata in sordina. Eppure, quello che sarebbe dovuto essere un maxiemendamento – che il giorno 27 novembre ha ottenuto la fiducia al Senato con 171 “sì” e 135 “no” – dovrebbe contenere un importante intervento, seppure sperimentale, per il contrasto alla povertà.
Stiamo parlando proprio del tanto citato “reddito minimo”, quella forma di sostegno al reddito destinata a tutti i residenti in età lavorativa che si trovano sotto la soglia di povertà. Per il finanziamento di questa misura era stata preventivata una somma di 7-8 miliardi di euro, che si sarebbe dovuta ottenere abbassando da 150mila a 90mila euro la soglia delle pensioni d’oro da cui attingere per il contributo di solidarietà.
Viene invece nominato il cosiddetto “sostegno di inclusione attiva” (Sia), per il quale saranno previsti 40 milioni l’anno per i prossimi tre anni. Un provvedimento che pare ricordare la cosiddetta “social card”, anche se è proprio il Ministro del lavoro Enrico Giovannini a prendere le distanze dal provvedimento di tremontiana memoria e ad esprimere piuttosto soddisfazione per la Sia, che a suo parere rappresenta una vera e propria “presa in carico delle famiglie”.
Ciò che lascia più perplessi è la mancanza nel testo del maxiemendamento di un chiaro riferimento alla norma, anche se non è escluso che possano esserci modifiche alla Camera. Di certo, il fatto che il progetto non sia stato definito, ha fatto crescere un po’ di polemica, soprattutto da parte di Sel, che ha parlato di “pubblicità ingannevole”.
Marco Furfaro della segreteria nazionale di Sel si è permesso di seminare un dubbio: “Dove sarebbe il fatto epocale e di cambiamento se rispetto allo stanziamento di 50 milioni all’anno del governo Monti per la social card e a quello previsto dalla legge di stabilità del governo Letta-Alfano, questo sostegno è addirittura inferiore di 10 milioni?”.