Da qualche giorno circola in rete una lettera scritta da una donna rimasta anonima all’indirizzo di Beppe Severgnini, giornalista per Il Giornale e il Corriere della Sera. ‘Io, mamma lavoratrice, non ce l’ho fatta‘, così recita il titolo, un chiaro riferimento all’estrema difficoltà nella quale incorre non solo l’autrice, ma anche migliaia di altre donne quando tentano di conciliare l’aspirazione lavorativa alla vita familiare. La lettera è stata pubblicata dal Corriere della Sera e già dall’incipit si evince il senso di sconfitta dell’autrice.
“Caro Beppe,
Dopo giorni di lacrime e dubbi scrivo a te, rendendoti destinatario di un flusso di coscienza ma anche di una dichiarazione di fallimento. Prima di entrare nel merito dello sfogo, ti racconto però un breve aneddoto che ti farà sorridere… Ho sempre sognato di fare la giornalista, fin da bambina, e ti ho sempre letto; quando al liceo ci assegnarono un tema sui nostri miti, mentre i miei compagni parlarono di Che Guevara o di Bob Marley, io parlai di te… Scrissi di volermi occupare di cronaca di costume perché l’unica cosa in cui ero brava era osservare la gente e il mio maestro eri tu… Son passati 20 anni da quel tema e la realtà è che non sono diventata giornalista. Mi sono iscritta a giurisprudenza perché, figlia di magistrato, ho seguito il consiglio paterno, quel genere di consigli che ti pesano come macigni ma che ti sembrano ineluttabili, perché non riesci a contraddire la persona che per te è l’essenza della ragionevolezza. Son finita a fare l’avvocato, neanche troppo brava, e provo anche a fare la madre, ruolo cercato e voluto con lacrime e sangue (ho perso in grembo ben due figli, ma ho due bimbe meravigliose). Ma proprio in questo sta il mio fallimento.Â
A questa lettera hanno fatto eco migliaia di commenti nel web, su Facebook, nei principali social network. La polemica è scoppiata e c’è chi si schiera a favore e chi contro. Da una parte si parla di emancipazione femminile, di scambio di ruoli: c’è chi sostiene che la colpa sia degli uomini – lo stesso Beppe Severgnini – e chi, invece, accusa l’autrice di vittimismo. “Nessuno le ha ordinato di fare figli” o, ancora, “Diffido dalle donne vittime lamentose“. Si parla di valori culturali, di rivoluzione, ma anche di assenza di equità e c’è chi, infine, getta la colpa sulla società in senso lato, ricordando che “gli uomini, come le donne, che si occupano della famiglia e dei figli non fanno carriera“. La lettera sembra aver sollevato una terza questione, per ciò che concerne la parità dei sessi: quindi, di chi è la colpa? Della società maschilista? Della cultura nella quale, fin dalla nascita, si comincia ad affogare? O di questi ruoli che non accennano a diventare, una volta per tutte, interscambiabili?