Il Tribunale dei ministri di Roma, lo scorso 21 novembre 2019, si è espresso sul caso migranti: lo Stato di primo contatto è quello della nave. Cadono dunque così le accuse di omissione di atti d’ufficio e abuso d’ufficio nei confronti dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini e del capo di Gabinetto Matteo Piantedosi, i quali hanno negato ad aprile, come ricorderete, lo sbarco a 65 migranti che si trovavano a bordo della nave tedesca Alan Kurdi della Ong Sea Eye.
Matteo Salvini scagionato dai giudici: «Le Ong sbarchino nel loro paese»
Scagionato il leader della Lega Matteo Salvini. Come si legge negli atti, firmati dai giudici Maurizio Silvestri, Marcella Trovato e Chiara Gallo, riportati da “Il Corriere della sera”: “L’assenza di norme di portata precettiva chiara applicabili alla vicenda non consente di individuare, con riferimento all’ipotizzato, indebito rifiuto di indicazione del Pos (Place of safety), precisi obblighi di legge violati dagli indagati, e di conseguenza di ricondurre i loro comportamenti a fattispecie di rilevanza penale”. In altre parole, la responsabilità di assegnare un «porto sicuro» alle navi con migranti a bordo spetta allo «Stato di primo contatto», che tuttavia non è semplice da individuare. A seguire alla lettera le indicazioni (che si possono ricavare da Convenzioni e accordi) «lo Stato di primo contatto non può che identificarsi in quello della nave che ha provveduto al salvataggio». Supponiamo quindi che un barcone di profughi sia stato soccorso da una nave che batte bandiera tedesca, allora è alla Germania che bisogna rivolgersi per l’approdo, non al paese più vicino.
«La normativa non offre soluzioni precettive idonee ai fini di un intervento efficace volto alla tutela della sicurezza dei migranti in percolo».
E se Salvini festeggia, come già aveva fatto nei giorni scorsi per la notizia dell’archiviazione, quando aveva esclamato «Finalmente un tribunale riconosce che bloccare gli sbarchi non autorizzati non è reato», quello stesso Tribunale dei Ministri di Roma intende precisare che purtroppo le leggi sono inadeguate e che tutto è rimesso ad «una concreta e fattiva cooperazione tra gli Stati interessati che, fino a oggi, è di fatto scritta solo sulla carta». Come appare chiaro nel caso della Alan Kurdi, ma come succede spesso, le coste del paese di riferimento erano troppo lontane per garantire l’approdo, quindi «la normativa non offre soluzioni precettive idonee ai fini di un intervento efficace volto alla tutela della sicurezza dei migranti in percolo».
Le zone grigie del diritto internazionale
Sul sito “Next” è stato riportato il tweet di un ricercatore dell’ISPI, Matteo Villa, che ha chiarito che il titolo riportato da “Il Corriere della sera”, ripreso dalla maggior parte dei giornali online (incluso il nostro), «Le Ong sbarchino nei loro paesi» non corrisponde al vero perché «per i giudici chi soccorre non deve sbarcare nel Paese di bandiera (spesso sarebbe ridicolo, o folle), ma farsi coordinare da quello». In questo caso il ricercatore fa appello ad alcune zone grigie del diritto internazionale, per il quale «neppure il coordinamento compete allo Stato di bandiera, ma agli Stati responsabili della loro zona SAR. Il coordinamento dello Stato di bandiera è facilitante e residuale».
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