Ventisette mila euro per essere felici. Né in più, né in meno. E’ quanto sostiene lo studio pubblicato su Plos One da due economisti italiani, Eugenio Proto del Centre for Competitive Advantage in the Global Economy alla University of Warwick e Aldo Rustichini, della University of MInnesota, che ha indicato la quantità di denaro che, se posseduta, dà la felicità.
Ma, attenzione, oltre questa cifra di Pil pro capite il grado di soddisfazione inizia a decrescere. Ne consegue, quindi, che nei paesi più ricchi la soddisfazione della popolazione non è più elevata. Gli esperti hanno utilizzato i dati sui livelli di soddisfazione nei vari paesi raccolti nella World Values Survey (progetto di ricerca globale) e incrociato queste informazioni con quelle dei Pil pro capite, raggruppando i diversi paesi per fasce di Pil.
Naturalmente nei paesi con reddito pro capite molto basso, i livelli di soddisfazione e felicità sono altrettanto bassi; ciò che di questa ricerca ha sorpreso, è senza dubbio l’aver scoperto che oltre un valore di Pil pro capite di 36 mila dollari (circa 27mila euro) la curva dei livelli di soddisfazione non sale più, anzi, inizia a decrescere. Il troppo stroppia? Forse. Certamente, a detta degli studiosi, trattasi di una questione di ‘aspirazioni’ della popolazione: “La soddisfazione appare attenuarsi oltre un certo livello di ricchezza. Nel nostro studio vediamo che questo è dovuto al grado di aspirazione nei paesi più ricchi. Man mano che la ricchezza di un paese cresce, crescenti Pil portano ad aspirazioni maggiori da parte della popolazione. Si crea il desiderio di avere di più quando tutti intorno a sé vedono ricchezza e opportunità”. In altre parole, il divario di desideri , la differenza tra il reddito reale e quello che ciascuno vorrebbe avere, consuma la soddisfazione causando l’infelicità. E torna in mente la grande verità contenuta nella locuzione latina che elogia la ‘giusta via di mezzo’, l’aurea mediocritas.
