La morte di Aldo Moro poteva essere evitata. Lo afferma Ferdinando Imposimato, ex magistrato già titolare della prima inchiesta sul rapimento del leader democristiano, avvenuto a Roma il 16 marzo del 1978. Imposimato, che ha appena dato alle stampe un nuovo libro sul caso Moro, “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia”, ha raccolto testimonianze dirette ed inedite di appartenenti alle Forze dell’ordine e ai Servizi Segreti.
Secondo quanto riferito da questi nuovi testimoni, gli inquirenti conoscevano l’ubicazione del covo in cui era tenuto imprigionato Aldo Moro nelle prime fasi del sequestro, ma non intervennero. Uno scenario inquietante che ha spinto l’ex giudice istruttore a presentare un esposto alla Procura di Roma e facendo aprire un fascicolo, al momento senza ipotesi di reato né indagati.
Tanto basta, secondo quanto riferisce oggi il quotidiano La Repubblica, per far riaprire le indagini sull’assassinio del presidente della Dc ad opera delle Brigate Rosse dopo 55 giorni di sequestro, indagini che sono in capo ora al Pm Luca Palamara.
“Le forze dell’ordine conoscevano sin dal primo momento il nascondiglio in cui era stato imprigionato Moro ma non vollero intervenire”, afferma Imposimato che si è detto disponibile a collaborare con la Procura per fornire tutti i particolari sulle nuove informazioni contenute nel libro.
Ma chi ordinò, se davvero ci fu quest’ordine, a Polizia e servizi di non intervenire per liberare il Presidente della DC e soprattutto perché? Interrogativi a cui è molto difficile dare una risposta al momento e scenari che appaiono ancora più complicati da accertare per via giudiziaria.
Già in passato scenari diversi da quelli “ufficiali” erano stati ipotizzati e mai provati: come la presenza in via Fani, il 16 marzo del ’78, di un uomo della ‘ndrangheta confidente dei Servizi Segreti.