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Song to Song recensione: il film di Terrence Malick miscela il tempo e la luce

Immagini folgoranti e tempi mescolati sono il filo rosso della storia raccontata da Terrence Malick in Song to Song. Il regista abbandona le lunghe attese di The Tree Of Life per approcciarsi ad una sintesi, che rischia però di diventare una cantilena di interrogativi già sentita, intrisa di domande che perdono il loro magnetismo dopo innumerevoli ripetizioni.

La storia ci presenta 5 personaggi di cui la cinepresa ritrae i momenti salienti dal punto di vista artistico e sentimentale: queste figure si amano, si lasciano, hanno dei battibecchi, tentano di portare avanti i propri percorsi artistici. Insomma, tematiche molto care al cinema hollywoodiano e, in questo caso, pretenziose, al punto da ricordare vagamente Woody Allen, ma ormai fin troppo percorse. Song to Song rimette in gioco la lotta fra gli opposti: l’amore romantico e il desiderio carnale, che si scontrano e si pongono come ostacoli nelle vite dei protagonisti.
Ci troviamo ad Austin, città di festival musicali. I personaggi, a cui prestano i volti Ryan Gosling, Rooney Mara, Natalie Portman, Michael Fassbender, Cate Blanchett, affiancati da guest star come Patti Smith e Iggy Pop, mostrano una grande riflessione sull’esistenza, innanzitutto la propria e, nel corso della pellicola, sempre più slegata da un riferimento al singolo e sempre più indirizzata verso le classiche domande esistenzialiste. Nonostante, infatti, ogni storia abbia un suo climax e metta in scena una propria singolarità, la trama proposta da Malick non si allontana dalla consueta riflessione del regista sulla vita, sull’abisso in cui ci può condurre il potere – in questo caso l’industria musicale. La poetica malichiana quindi non sembra essere cambiata, il regista punta alla riflessione sul ritorno alla vita “pura”, lontana dalle frustrazioni e deviazioni che un eccesso di gloria può portare con sé, mostrandosi invece a favore di lavori manuali, bruchi fra i capelli, vita agreste e serena.

Insomma, il film che segnò una svolta nella vita di Malick, The Tree of Life, non si pone tanto come un punto di approdo o un testamento artistico del regista, ma semmai come un punto di paragone, dal quale pare ormai impossibile prescindere quando si guarda Song to Song. Ora però, il suo stile, giunto fino alle sue più prolisse conseguenze con The Tree Of Life, si vede costretto ad uno spazio “inadatto”: eventi in sequenza ed una trama che mantenga una certa linearità narrativa. Questo film di compromesso non perde però alcune delle caratteristiche più proprie della regia di Malick come l’utilizzo dell’immagine e del montaggio, veri protagonisti della pellicola. Alla fotografia, infatti, non può mancare Emmanuel Lubetzki, inseparabile braccio destro negli ultimi film del regista e cocreatore di uno stile ormai celebre, caratterizzato da un utilizzo della luce che ci regala delle immagini luminescenti, che lasciano quasi in secondo piano la trama. Song To Song ci mostra lunghe e dettagliate scene in cui il il sole al mattino fa capolino dalle finestre nelle case e dona un senso di pace che cozza con le vite frenetiche dei protagonisti.

Altra scelta narrativa che caratterizza Song To Song è l’utilizzo dell’ellissi ed il mescolamento dei tempi. Nonostante non ci sia una vera e propria sensazione di spaesamento – dal momento che gli indizi seminati dal regista indicano perfettamente in che epoca temporale siamo – passato e presente si mescolano continuamente, regalandoci un vero e proprio “momento ibrido”, non appena siamo saltati indietro, ci ritroviamo subito al presente. La particolarità di questo continuo “avanti e indietro” nel tempo sta proprio nell’accostamento irrazionale del passato a quanto succede nel presente. Non è tanto per spiegare una situazione che viene inserito un flashback, quanto per ricordare un’emozione, similmente a quanto avviene nella nostra mente con il ricordo. I dialoghi si dissolvono nella barriera del tempo e della traccia lasciata dal passato, i colori e le emozioni più del mero fatto accaduto sono ciò che resta del tempo vissuto.

Insomma, come già detto si tratta di un film sull’esistenza umana e come tale va vissuto proprio come si vive la propria presenza al mondo: le emozioni e le sensazioni sono la reale chiave di lettura di presente, passato e futuro. Purtroppo però la pellicola non regge il paragone con The Tree of Life, vera punta di diamante nella produzione del regista, che aveva decisamente esaltato la cosiddetta “mitologia dell’anima” e al cui confronto i film successivi appaiono drammaticamente sacrificati. Insomma, torna sì la dialettica del regista fra istintualità e umanità, ma si perde gran parte della rara poesia e ricerca trascendente a cui ci aveva abituati Malick.

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