Ci sono persone a cui la parola «cancro» fa paura, tanta paura. Tra queste ci sarebbe Stefania Sandrelli, popolare attrice, famosa per film come Divorzio all’Italiana. Almeno è quel che si apprende, leggendo una delle interviste, rilasciate dalla figlia Amanda, che col il terribile male ha avuto a che fare nel 2009. La 55enne ha raccontato qualche tempo fa a “La Repubblica” di aver avuto «una cosa limitata, che si è risolta con un’operazione e dopo non ha richiesto terapie».
Stefania Sandrelli, malattia figlia Amanda: all’inizio lei era all’oscuro
L’attrice, figlia di Stefania Sandrelli e Gino Paoli, ha confidato: «Io non amo parlare di me, ma riconosco che è importante che le donne condividano l’esperienza della malattia: aiuta a non sentirsi sole. E ad eliminare la paura che la parola cancro genera in tutti noi». Un termine quest’ultimo che continua a spaventare, dal latino cancer ‘granchio’, calco del greco karkínos. Ma perché chiamarlo proprio “cancro”? Che c’entra con il granchio? L’appellativo deriverebbe dalla somiglianza delle ramificazioni del tumore con le zampe del crostaceo. Torniamo però al caso di Amanda Sandrelli, che a cuore aperto, a “La Repubblica” aveva detto: «È accaduto nel 2009: inutile dire che, quando mi hanno detto la diagnosi, ho avuto paura. In quei momenti ti trovi su un crinale, senti la parola “cancro” e pensi alla morte o alle mutilazioni. Da questo punto di vista, il lavoro del professor Veronesi è stato importantissimo: ha permesso alle donne di operarsi con la certezza di non essere mutilate!».
«Per mia madre la parola “cancro” era una sorta di condanna»
Ad aiutare Amanda Sandrelli le persone care: «Ho avuto vicino il mio ex marito e mio fratello che è medico: con loro mi sono confidata subito. A mia madre invece all’inizio non l’ho raccontato: la sua mamma è morta quando lei aveva 22 anni e per lei, come per tutta la sua generazione, la parola “cancro” è una sorta di condanna. Per questo a lei e a mio padre ho preferito dirlo quando ho avuto chiaro quello che mi attendeva. A quel punto, mi è stata vicina come nessun’altro!». Per fortuna tutto è andato bene: «A Milano però ho trovato un ospedale “al femminile”, dove nei corridoi e nelle sale d’attesa ci sono tante donne con storie simili alla tua. Trovi chi dice “non preoccuparti, ero al tuo posto sei mesi fa”: condividere non ti fa sentire sola. Per questo dico: diciamo la parola “cancro”, tutti insieme, in modo che i nostri figli e le future generazioni possano temerla meno!».