Rosa e Olindo revisione processo: perché siamo qui a parlare ancora della Strage di Erba? Perché il caso non è affatto chiuso. A fronte di una sentenza passata in giudicato e due persone – Rosa Bazzi e Olindo Romano – condannate all’ergastolo, sono troppi ancor oggi gli aspetti poco chiari di questa vicenda giudiziaria. Ombre, aporie, negligenze investigative verificatesi in anni di processi e indagini, cui due giorni fa si è andata ad aggiungere la decisione della Corte di Cassazione che, accogliendo l’ennesimo ricorso dei coniugi Romano, ha inviato gli atti alla Corte d’Assise di Como affinché venga fissata una nuova udienza con contraddittorio delle parti. I giudici di Como lo scorso aprile si erano già espressi negativamente rigettando l’istanza della difesa che chiedeva di poter accedere alle intercettazioni, di acquisire un telefono cellulare e svolgere nuovi test biologici su diversi reperti mai analizzati prima, senza all’epoca permettere alla difesa di prendere parola. Ora la Corte di merito dovrà rivalutare, ma con contraddittorio, su disposizione della Cassazione.
UrbanPost, che da tempo segue gli sviluppi della vicenda, ha nuovamente intervistato l’avvocato Fabio Schembri, uno dei legali difensori di Rosa e Olindo. Molto interessante il suo commento a caldo sulla decisione della Cassazione ed anche su un fatto gravissimo accaduto mesi fa, che potrebbe inficiare le eventuali indagini difensive sul caso: la distruzione di gran parte dei succitati reperti proprio poche ore prima che la Cassazione si pronunciasse in merito alla richiesta di poterli analizzare. Di questo e tanto altro abbiamo parlato con il penalista, ecco le sue parole a UrbanPost:
Avvocato, la recente decisione della Cassazione è stata una preziosa conquista per voi difensori
«Sì … purtroppo questa cosa va avanti da ormai quattro anni. E questa ‘piccola conquista’ noi in realtà l’avevamo già ottenuta quando nel 2017 sempre la Corte di Cassazione aveva stabilito di procedere alle analisi di questi reperti nella forma dell’incidente probatorio a Brescia, che dapprima ammise l’incidente probatorio e poi inspiegabilmente nella seconda udienza fissata per nominare il perito, lo revocò. Noi allora avevamo proposto un altro ricorso in Cassazione che la Corte aveva rigettato. Nonostante quel rigetto, la Cassazione già nel 2018 non era d’accordo con la prima sezione della Corte non sulla fattibilità delle analisi ma sul metodo. Cioè anche la seconda sentenza disse che era diritto della difesa fare esaminare quei reperti. Quindi di fatto c’è stato sempre un pronunciamento della Corte di Cassazione a che le analisi venissero svolte. Sostanzialmente una sezione diceva ‘fatele nella forma dell’incidente probatorio’, quindi a Brescia, e l’altra sezione ha detto ‘no, fatele davanti alla Corte d’assise di Como’, ma le analisi devono essere fatte. L’altro ieri la Corte di Cassazione è intervenuta per l’ennesima volta rilevando una sorta di ‘errore’ in procedendo perché, così come noi avevamo ravvisato ed esposto nei motivi del ricorso, il rigetto avvenne senza fissare un’udienza, senza contraddittorio, senza far parlare la difesa. Questa è stata un’anomalia sottolineata dalla Corte di Cassazione …».
Il cosiddetto ‘vizio di forma’ menzionato dalla Cassazione
«Sì! Un vizio di forma … però, diciamo, spesso se non si rispetta la forma non si può parlar neanche della sostanza. Questi sono degli errori: la procedura deve essere seguita correttamente e la Cassazione ha ravvisato proprio questo. Comunque già nel merito, a proposito della sostanza, la Cassazione ha detto che quelle analisi si devono fare. Lo ha detto con la sentenza del 12 luglio 2018 e l’aveva detto anche nella precedente sentenza del 2017».
E adesso cosa succederà? Quando l’udienza?
«Ora la Corte d’Assise di Como dovrà fissare necessariamente un’udienza. I tempi d’attesa … qualche mese, da qui a fine novembre. Noi chiederemo che quell’udienza sia pubblica in modo tale che alla luce del sole vengano illustrate le ragioni della difesa così come quelle dell’accusa. Naturalmente il giudice potrà decidere favorevolmente o sfavorevolmente; in caso di decisione sfavorevole ci sarebbe un’ulteriore perdita di tempo perché dovremmo ricorrere per l’ennesima volta e diventerebbe una storia infinita priva di precedenti, perché io non ricordo che sia accaduta nel passato una cosa del genere. C’è un principio già stabilito dalla Cassazione ma allo stato ancora non è stato applicato, ecco. Al di là di questa decisione ultima della Cassazione e degli accertamenti che abbiamo richiesto, noi abbiamo continuato a lavorare sulla richiesta di revisione del processo che ancora non abbiamo presentato perché vorremmo corredarla di tutti gli elementi che noi riteniamo possano essere potenzialmente importanti, perché ancora questi reperti non sono stati esaminati e potrebbero costituire una prova ‘nuova’ da unire ad altri elementi che abbiamo raccolto e stiamo andando a raccogliere».
C’è quindi qualcosa di nuovo?Avete raccolto nuove prove?
«Noi stiamo lavorando sulla revisione e abbiamo già raccolto qualcos’altro tant’è vero che, come le ho detto, al di là di tutto avremmo presentato comunque una richiesta di revisione del processo che deve essere basata su elementi nuovi quindi noi stiamo lavorando proprio su quello, insomma».
Torniamo ai reperti distrutti, un fatto gravissimo che prescinde dal ‘Caso Erba’ ed è lesivo dei diritti di qualunque imputato
«Si ricorda? La mattina – guarda caso proprio nel giorno in cui la Cassazione doveva pronunciarsi in merito – c’era stato un cancelliere dell’Ufficio Corpi di reato di Como che si era recato all’inceneritore e nel frattempo aveva distrutto tutti i reperti…. Anche io lo reputo un fatto gravissimo e in questo caso mi spoglio della veste di avvocato e metto quella di cittadino. Voglio dire, al di là della difesa di Rosa e Olindo, che dei reperti vengano distrutti nonostante ci fossero dei provvedimenti della autorità giudiziaria che dicevano espressamente di sospendere qualsivoglia distruzione di quei reperti, è una cosa di una gravità estrema. Ricordo inoltre che nelle more è riaffiorato addirittura qualche scatolone, sempre da un riordino degli uffici del Tribunale di Como, che era stato dato per distrutto e poi è ricomparso magicamente. Ora … c’è qualcuno che vuole far passare questa cosa come una leggerezza del cancelliere ma qui non c’è niente di ‘leggero’, insomma».
E cosa conteneva quello scatolone?
“All’interno vi erano dei plichi sigillati ed è stato appurato che un sigillo è stato rimosso, quindi questa è un’ipotesi di reato, tant’è che c’è una denuncia e mi auguro che ci sia un procedimento penale in corso per far luce su quanto accaduto, insomma. Sono cose gravi accadute all’interno di un tribunale della Repubblica italiana”.
Quali reperti sono rimasti da analizzare, quindi?
«Purtroppo è rimasto ben poco: materiale biologico detenuto dal Ris di Parma all’Università di Pavia; perché tutto ciò che c’era a Como è stato distrutto tranne il succitato plico che contiene un telefonino presumibilmente di Raffaella Castagna (un secondo telefono è andato distrutto e non sappiamo a chi è appartenuto); rimangono poi delle formazioni pilifere che non sono mai state analizzate, dei capelli ritrovati sulla felpa del piccolo Youssef, dei margini ungueali (materiale biologico sotto le unghie ndr) delle vittime alcuni dei quali mai analizzati, altri analizzati solo per isolare il Dna di Rosa e Olindo – e non di terze persone diverse dagli allora indagati – che però non venne mai trovato. Poi ci sono delle macchie di sangue tra cui un’impronta palmare che non è di Rosa e Olindo, non è dei soccorritori né delle vittime. Quell’impronta fu repertata dal Ris di Parma e potrebbe essere comparata eventualmente con altre impronte …».
Con i nuovi e sofisticati strumenti di indagine che abbiamo oggi rispetto al 2007, quando si sviluppò l’inchiesta, si potrebbero ottenere importanti risultati dagli eventuali accertamenti su questi reperti?
«Sì sì, per esempio all’epoca c’erano delle impronte, tracce di sangue sul terrazzino, che l’analisi aveva reputato ‘scientificamente non interpretabili’ e che oggi con i nuovi strumenti si potrebbe riuscire – ci si augura e si spera – ad attribuire a qualcuno. Oggi si potrebbe fare certamente qualcosa di meglio grazie alle nuove tecniche».
Rosa e Olindo si rendono conto che i nuovi accertamenti, se eseguiti, potrebbero essere un’arma a doppio taglio e rivelare la loro presenza sulla scena del crimine mai trovata all’epoca delle indagini?
«Certo, naturalmente. Ottima riflessione! Premesso che noi riteniamo che non siano stati loro gli autori della strage, questa è anche una sorta di sfida. In quella marea di reperti che poteva essere esaminata poteva (e potrebbe ndr) esserci il Dna di Rosa e Olindo, ma loro sono talmente tranquilli sotto questo profilo che dicono con serenità ‘fate gli accertamenti perché tanto noi due lì su (alla Corte di via Diaz ndr) non ci siamo mai stati, non c’entriamo nulla con la strage di Erba’. Sono strasicuri che lì di loro non c’è traccia come già il Ris aveva appurato all’epoca. Di Rosa e Olindo sulla scena del crimine non venne trovata alcuna traccia né delle vittime a casa loro. Ed anche questa è una grande anomalia per un pluriomicidio eseguito con arma bianca e in così pochi minuti. Lì invece sono state trovate tracce di soggetti rimasti sconosciuti alle indagini perché quelle tracce non sono state successivamente sottoposte ad accertamenti».
Cosa sperano, cosa le hanno detto? Nelle recenti interviste a Le Iene mi sono sembrati più rassegnati che speranzosi
«Sono contenti ed hanno tirato un sospiro di sollievo perché finalmente c’è la possibilità che questi accertamenti vengano fatti. Da un lato ci sperano, dall’altro sanno perfettamente – perché l’hanno vissuto sulla propria pelle – che non è una cosa facile. Non vogliono illudersi visti i provvedimenti precedenti di cui abbiamo parlato … Lei ha detto bene, li ha visti rassegnati quindi non vogliono illudersi ma sperano che qualcosa si possa concretizzare».