Alla mezzanotte americana di oggi, giovedì 2 settembre 2021, è diventata operativa la nuova legge sull’aborto dello Stato del Texas. La nuova legislazione locale vieta l’aborto dopo la sesta settimana, anche in caso di stupro o incesto. Considerando che molte donne non sanno nemmeno di essere incinta nei primi due mesi, può essere letta come la volontà di mettere al bando la possibilità di interruzione volontaria di gravidanza. (continua a leggere dopo la foto)
Legge sull’aborto Texas, cosa prevede, perché è incostituzionale
La giornata di ieri mercoledì primo settembre 2021 è stata una giornata triste per i diritti delle donne texane. Esattamente alla mezzanotte di questa notte è diventata operativa la legge più severa in materia di aborto di tutti gli stati americani. La nuova legislazione del Texas prevede il divieto di interruzione volontaria di gravidanza dopo la sesta settimana. L’unica eccezione prevista è in caso di rischi per la salute della madre. Restano dunque esclusi i casi di violenza sessuale e incesti.
La legalizzazione dell’aborto negli Stati Uniti d’America è avvenuta attraverso il caso Roe v. Wade del 1973. In questa sentenza giudici della Corte Suprema decisero che l’aborto deve essere consentito fino a che il feto non sia in grado di sopravvivere in maniera autonoma (24° o 28° settimana). Inoltre la storica sentenza sottolinea che deve essere sempre considerato legale se la donna si trova in pericolo di vita.
La decisione dello stato texano ha provocato la dura reazione reazione della Casa Bianca. Il Presidente americano Joe Biden, attraverso un comunicato stampa, ha condannato la nuova legge giudicandola incostituzionale. “Questa legge estrema introdotta dal Texas viola palesemente i diritti costituzionali introdotti con la sentenza Roe v. Wade”.
Questa legge vuole inoltre penalizzare una qualsiasi persona che ne aiuta un’altra ad abortire oltre la sesta settimana. Lo fa introducendo multe fino a 10 mila euro per coloro che accompagnano la donna che desidera abortire in clinica, per il medico che pratica l’aborto e persino per chi paga per la prestazione clinica.
“In maniera scandalosa, dà l’autorità ai privati cittadini di portare in causa chiunque sia ritenuto responsabile di aver aiutato una persona ad abortire, – continua il Presidente americano – questo potrebbe includere membri della famiglia, lavoratori del settore sanitario, staff addetti all’accoglienza nelle cliniche o sconosciuti con nessun collegamento all’individuo”.
USA: la minaccia delle leggi anti-aborto
Nell’ultimo anno sono stati quattordici gli stati americani che hanno proposto l’introduzione di misure che limitano fortemente o rendono impraticabile l’aborto. Il rafforzamento del fronte anti-abortista non è causale, ma collegato alla composizione del tutto peculiare della Corte Suprema. In questo momento l’equilibrio della suprema corte statunitense è profondamente squilibrato in favore dei repubblicani (sei giudici repubblicani e tre democratici). Tutti i giudici conservatori hanno esposto delle posizioni anti-abortiste.
Per il momento la Corte Suprema non si è pronunciata su nessun caso legato a leggi che limitano l’aborto. Ma lascia comunque interdetti il fatto che abbia deciso di non intervenire nel procedimento legislativo texano. L’ex-segretario di stato Hillary Clinton ha commentato l’operato della Corte Suprema tramite Twitter: “Nascosta nell’ombra, decidendo di non agire, la Corte Suprema, ha dato la possibilità di diventare effettivo al divieto incostituzionale dell’aborto in Texas”.
La paura in questo momento è che le limitazioni all’aborto possano diventare effettive anche in altri stati. Come ad esempio l’Arkansas dove nello scorso maggio è stata introdotta una legge che vuole ribaltare la sentenza Roe v. Wade. La nuova legislazione introdotta prevede l’aborto solo nel caso in cui questo sia necessario per salvare la vita della madre. È esclusa dunque la possibilità di interruzione di gravidanza in caso di stupro o incesto. Particolarmente aggressive le parole del promotore della legge, il senatore repubblicano Jason Rapert: “Dobbiamo abolire l’aborto così come abbiamo abolito la schiavitù nel 19mo secolo”.
Per il momento la Corte Costituzionale ha ignorato il problema, non intervenendo sulle legge anti-abortiste che sono state promosse in ben quattordici stati. Il primo vero e proprio banco di prova, dal quale non potrà esimersi dal pronunciarsi sarà durante il prossimo dicembre. Quando saranno obbligati a discutere e pronunciarsi sulla costituzionalità di una legge introdotta dallo stato del Mississippi che prevede il divieto di aborto oltre la quindicesima settimana.
La situazione in Italia: il problema degli obiettori
La situazione italiana è apparentemente meno complessa rispetto a quella statunitense. Ci sono voluti anni di lotte e rivendicazioni, ma alla fine è stata approvata la legge 194 del 1978 che introduce il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza. All’interno del suo testo viene inoltre promulgato il divieto di “obiezione di struttura”. Questo vuol dire che, all’interno di ogni clinica il numero di obiettori di coscienza non può essere tale da rendere impossibile la pratica dell’aborto.
Eppure, nonostante quello che viene previsto dalla legge, molte donne italiane si trovano impossibilitate ad eseguire un’interruzione volontaria di gravidanza. Ad oggi nel 35,1% delle strutture italiane con un reparto di ginecologia o ostetricia non è possibile avere accesso all’aborto per via dell’alto numero di obiettori. La situazione è più grave in alcune regioni italiane, tra cui il Molise con una percentuale di obiettori che supera il 90%, la Valle D’Aosta e la Sicilia (entrambe 82,7%).
Si è indagato a lungo sulle ragioni che spingono i medici a diventare obiettori. Le motivazioni principali non sono solo legate a questioni religiose, ma anche alla paura di essere discriminati all’interno del sistema sanitario nazionale. Al che si aggiunge la considerazione della pratica dell’aborto come un lavoro di routine poco gratificante.