Prima dei friulani, aveva compiuto l’impresa il Bologna a metà settembre. La cicala Zeman, di nuovo, è rimasta vittima del proprio integralismo tattico: tutti avanti, sempre e comunque anche a rischio di compromettere il risultato e forse pure le ambizioni di primato di un gruppo che non sarà di prim’ordine, ma neanche da buttare. D’altronde il tecnico boemo è così. Prendere o lasciare.
Con buona pace del fegato dei tifosi giallorossi che, loro sì, la scelta l’hanno fatta: lo amano. Ad odiarlo che ci pensino pure altri. Per Zdenek l’attacco è una filosofia di vita. Parla poco, Zeman, ma quando apre bocca sentenzia. E lo fa da anni. Già. Mourinho, che per certi versi lo ricorda, è arrivato molto tempo dopo. Piaccia o no, il boemo è sempre arrivato primo.
Fu un innovatore con il suo Licata iper offensivo a metà degli anni Ottanta. E non fu secondo a nessuno, come tempi e modi, quando puntò l’indice contro la Juve nell’estate del ’98 con le sue accuse, neanche troppo velate di doping. E, di nuovo, è stato campione di umiltà.
Dopo aver guidato Lazio e Roma e prestigiose squadre continentali, in pochi sarebbero ripartiti dalla serie C. Da Foggia, là dove ha dovuto chiudere un cerchio della sua carriera per aprirne un altro. Pescara prima e Roma poi. In compagnia delle sue incrollabili convinzioni tattiche e delle sue esternazioni. Sempre all’attacco. Ma raramente offensive in senso stretto.
Non vincerà mai lo scudetto, ma il titolo della coerenza è suo da anni.