Oggi, 19 gennaio 2020, ricorre il ventesimo anniversario della morte di Bettino Craxi. Sono già trascorsi vent’anni della scomparsa del leader socialista, ex presidente del Consiglio alla guida di uno dei governi più longevi della storia italiana. Ma cosa resta oggi di Craxi oltre alle immagini della sua fine non politica? Vi offriamo il nostro punto di vista, per dare un piccolo contributo di verità alla memoria storica. Nulla di agiografico come del resto non lo sono le celebrazioni organizzate dalla Fondazione Craxi in questi giorni ad Hammamet. Ma soprattutto per guardare oltre alla “fine” politica di Craxi decretata dalle vicende giudiziarie, ben fotografata dal film di Gianni Amelio con un magistrale Pierfrancesco Favino nei panni del leader socialista.
La lezione di Bettino Craxi è ancora viva
Sulla vicenda giudiziaria di Craxi gli interrogativi aperti sono ancora molti e resteranno tali almeno fino a che non impareremo ad osservare con occhi diversi la stagione “forcaiola” di Tangentopoli. Sulla sua parabola politica invece, a nostro parere, ci sono pochi dubbi. Bettino Craxi è stato, finora, il leader riformista di maggiore caratura della nostra storia repubblicana. Questo non significa “assolverlo” da responsabilità politiche rispetto alla deriva dei partiti, tra cui il suo, che poi avrebbero decretato anche il suo triste epilogo personale. Significa riconoscerne il valore politico, la capacità di perseguire l’obiettivo del riformismo pur non essendo a capo di un partito politico maggioritario. Una lezione che oggi dovrebbe essere studiata e interpretata da chi, da destra a sinistra, crede ancora nel valore della politica non come semplice esercizio del potere.
Il riformismo pragmatico
Anche se non si conosce a fondo l’evoluzione del pensiero di Craxi, è nei suoi atti da deputato prima e soprattutto poi da presidente del Consiglio, che è più semplice comprendere il valore politico della sua lezione. Chi, quando nel 1976 i giovani socialisti di Craxi presero possesso di un Partito Socialista ancora ancorato alle storiche diatribe con comunisti e democristiani, valutò Craxi come un arrogante carrierista destinato a bruciarsi rapidamente, avrebbe dovuto presto ricredersi. Capacità di mediare e di andare allo scontro, pur di mantenere fede all’obiettivo riformista come nel caso della storica battaglia sulla scala mobile. Capacità di ricreare, per l’Italia, le condizioni favorevoli alla crescita economica, pur in un contesto di inflazione elevata e di crescita del debito pubblico. Capacità, in politica estera, di riformare lo storico atlantismo figlio della sconfitta nella seconda guerra mondiale, mantenendo saldi rapporti con gli Usa ma costruendo una propria autorevolezza nel bacino del Mediterraneo. Dall’intervento in Libano ai rapporti con Tunisia e Libia, fino, al clamoroso caso Sigonella in cui l’Italia, per la prima volta dal 1945, disse “no” ad un’imposizione del suo alleato più potente.
Bettino Craxi e l’ultimo discorso parlamentare
Nell’ultimo discorso parlamentare di Bettino Craxi, che affrontava il nodo del finanziamento illecito ai partiti e che di fatto rappresenta la miglior arringa di difesa possibile nel processo a suo carico, c’è il passaggio che merita oggi la maggiore attenzione nella fase di triste declino che vive il riformismo italiano. Craxi non nega, né minimizza “il problema del finanziamento dei Partiti, meglio del finanziamento del sistema politico nel suo complesso, delle sue degenerazioni, degli abusi che si compiono in suo nome”, compiuti anche dal Partito Socialista da lui guidato.
Diceva Craxi, davanti ai deputati quel 29 aprile del 1993: “Mi spiace che tutto questo sia stato, allora, sottovalutato. Tante verità negate o sottaciute sono venute una dopo l’altra a galla e tante ne verranno, ne possono e ne dovranno venire ancora. E mentre molti si considerano tuttora al riparo dietro una regola di reticenza e di menzogna, non si è posto mano a nessun rimedio ragionevole e costruttivo. Questo deve valere anche per i Partiti che se debbono continuare ad esistere come elementi attivi della democrazia italiana ed europea sia pure in un diverso ruolo ed in diverse configurazioni, debbono essere posti di fronte a nuove regole impegnative ed utili a rinnovare e a far rifiorire la loro essenza associativa e democratica”.
La criminalizzazione del sistema politico ha portato alla sua distruzione
La distruzione del sistema dei partiti ci ha consegnato l’Italia di oggi, uguale se non peggiore nel suo universo fatto di corruzione in ogni aspetto della vita pubblica, ma infinitamente più debole nella sua struttura politica. Craxi denunciava il rischio estremo della “criminalizzazione della classe politica” e si chiedeva: “Mi chiedo come e quando tutto questo si concili con la verità, che rapporto abbia con la verità storica, con gli avvenimenti e le fasi diverse e travagliate che abbiamo attraversato e nelle quali molti di noi hanno avuto responsabilità politiche di governo di primo piano. Davvero siamo stati protagonisti, testimoni o complici di un dominio criminale? Davvero la politica e le maggioranze politiche si sono imposte ai cittadini attraverso l’attuazione ed il sostegno di disegni criminosi? Davvero gli anni ottanta di cui soprattutto si parla, senza risparmiare i precedenti, sono stati gli anni bui della regressione, della repressione, della malavita politica che scrivono e cantano in prima fila tanti reduci dell’eversione, delle rivoluzioni mancate, delle rotture traumatiche che sono state contrastate ed impedite? Questa non e’ altro che una lettura falsa, rovesciata mistificata della realtà e della storia. Chi ha condotto per anni una opposizione democratica ha da far valere in ben altro modo tutte le sue ragioni”.
Avvallando la violenta rivoluzione giudiziaria, parte della politica italiana ha decretato la propria fine. “Non c’è consenso popolare, sostegno politico, campagna di stampa che possa giustificare un qualsiasi distacco dai principi garantiti dalla Costituzione e fissati dalla legge. Non la giustifica neppure l’assenza, l’insensibilità o il ritardo degli organi di controllo, la debolezza o il disorientamento delle difese, la barriera del pregiudizio negativo. Non lo ha visto e non lo vede, del resto, solo chi non lo vuole e preferisce, per opportunità, per superficialità o per calcolo voltare la testa dall’altra parte”.
“Una politica che fosse intrisa di demagogia e di ipocrisia, non sarebbe destinata a fare lunga strada. Così come non e’ destinato a farla chi ancora oggi continua a non usare il linguaggio della verità, per non parlare”. Smettere di voltare la testa dall’altra parte, riconoscere il valore di un periodo storico tra i più positivi della nostra storia recente, riconsegnare la possibilità di un futuro alla politica, l’unica possibile, quella riformista. E’ questa la vera lezione di Bettino Craxi, a vent’anni esatti dalla sua morte.