In collegamento da Parigi, al programma di Rai Tre, Mezz’ora in più, di Lucia Annunziata, Rula Jebreal, la giornalista che ha commosso l’Ariston col suo monologo dedicato al tema delicato della violenza sulle donne, è tornata a parlare della madre morta suicida dopo essere stata brutalizzata e stuprata, quando lei aveva appena 5 anni. Una testimonianza forte quella della scrittrice israeliana: «Mia madre non ha avuto le mie opportunità. Era una donna semplice. È stato il secondo marito della madre a stuprarla, ha fatto lo stesso con le altre figlie. Lui trattava le donne come fossero schiave, proprietà!». E ancora: «In un confronto con mia madre avvenuto prima della sua fuga da casa, le disse una frase che mi fa venire ancora adesso la pelle d’oca: ‘Se hai un frutto in casa, non hai il diritto di assaggiarlo?’. Questi criminali pensano che le donne siano una loro proprietà privata, da usare e abusare come credono!».
Rula Jebreal, madre suicida violentata dal patrigno: «Prima dello stupro le disse una frase da pelle d’oca…»
Rula Jebreal, docente della Facoltà di Scienze Politiche all’Università di Miami, ha spiegato che a lungo ha voluto tacere sugli abusi della mamma. L’incontro con Nadia Mura, attivista yazida stuprata dell’Isis, l’ha spinta a denunciare: «In orfanotrofio, noi bambine ci raccontavamo queste storie per esorcizzarle. Ho trascorso lì tutta l’adolescenza e l’infanzia. Quando ho sceso le scale dell’aereo che mi ha portato in Italia, un paese libero che mi ha accolto, ho voluto nascondere questa verità. Poi ho lavorato nel consiglio di Macron e ho conosciuto Nadia Murad, attivista yazida stuprata dall’Isis. Lei ha avuto il coraggio di parlare, di denunciare le migliaia di donne yazide vendute come schiave, come se non fossero essere umani. Lei mi ha dato il coraggio. L’unica mia richiesta per la partecipazione a Sanremo era poter parlare di questo tema di cui mi occupo».
«Vorrei vedere dieci donne a Sanremo, ma nei posti di potere vero…»
Rita Jebreal si augura che il suo monologo sia servito a qualcosa: «Se è valsa la pena andare al Festival? Dipende se il prossimo anno le donne saranno protagoniste, guidando il Festival, occupando ruoli decisionali, magari come direttore artistico. Vorrei vedere dieci donne a Sanremo, ma vorrei vederle nei posti di potere vero. Sarà valsa la pena se la conversazione non è limitata a Sanremo ma continua nel paese, se le donne stuprate o molestate hanno la possibilità di parlare chiaramente. Ma soprattutto se iniziamo a cambiare il linguaggio, smettendo di dare la colpa alle donne!», ha concluso la giornalista, che parlando dell’uomo che l’ha messa al mondo, ha detto: «Mio padre era un guardiano della moschea. Devo moltissimo a lui. Ci ha messo in un orfanotrofio perché stava morendo, aveva un cancro. Credeva nell’istruzione delle donne, per lui era un biglietto verso la libertà. Ci sono stati momenti in cui ha dovuto scegliere se pagare i medicinali o la nostra istruzione. Sono qui per il suo sacrificio. Lui mi ha fatto credere che gli uomini possono essere nostri complici».
leggi anche l’articolo —> Sanremo 2020 Rula Jebreal: «Violenza sulle donne tema apartitico»