Rivendico il diritto di avere paura. Il timore può essere un’arma grazie alla quale riuscire a difendersi da un pericolo. Se conosco il mio nemico posso provare a parare il colpo quando arriverà per farmi del male; se sono a conoscenza di un rischio, in maniera razionale e cosciente, potrò essere meno vulnerabile quando le difficoltà piomberanno nella mia quotidianità, stravolgendola. Così per noi italiani non è stato. Lasciati in balìa di un uragano chiamato ‘Coronavirus’, senza alcun baluardo che ci proteggesse, ed ora nel bel mezzo di una tempesta di cui non si conosce la fine.
A dicembre sentivamo parlare al tg di un non meglio specificato “virus mortale” che mieteva vittime in Cina – la maggior parte anziane, quindi niente di preoccupante! – e che si propagava con una velocità impressionante. La Cina non è poi così lontana da noi, la Cina siamo anche noi, ma per settimane nel nostro Paese anziché adoperarci per far fronte ad una imminente emergenza sanitaria si è fatta ironia, perché tanto “La situazione è sotto controllo” – non era vero! Lo abbiamo intuito dalla prima ora ed il tempo, di lì a poco, ci avrebbe dato ragione – come disse il Presidente del consiglio Giuseppe Conte quando a fine gennaio venimmo a sapere di una coppia di turisti cinesi provenienti dalla città di Wuhan, primo focolaio del Coronavirus in Cina, risultata positiva. Da un albergo di Roma dove stavano alloggiando da giorni, i due coniugi furono trasportati d’urgenza allo Spallanzani poiché entrambi, ultracinquantenni, erano in preda ad evidenti ed inequivocabili sintomi riconducibili alla tanto temuta infezione polmonare.
Quello è stato per noi italiani un momento ‘spartiacque’: il 29 gennaio avevamo contezza del fatto che il Coronavirus era arrivato in Italia, e da chi rappresenta le istituzioni, dalle più alte cariche dello Stato, mi sarei aspettata coerenza, chiarezza ed onestà intellettuale. E invece niente di tutto ciò è accaduto. Da allora e per un mese ciò che si è verificato in Italia ha del surreale: nessuna misura restrittiva è stata adottata dal Governo, nemmeno nei confronti dei passeggeri di quegli aerei (con a bordo anche tanti italiani) che a fine gennaio dalla Cina stavano facendo ritorno in Italia. Me lo domando ancor oggi: perché non si è agito con tempestività?! Perché sottovalutare gli effetti nefasti di un virus tanto pericoloso? I morti cinesi sarebbero diventati presto anche morti italiani, in tanti quella sera lo abbiamo pensato, temuto. A bordo di quei velivoli c’erano probabilmente persone positive e asintomatiche, lasciate libere di circolare in Italia e non messe in isolamento preventivo per scongiurare il peggio che infatti è arrivato una ventina di giorni dopo.
No, l’inferno per noi italiani non è iniziato la sera di quel terribile 21 febbraio scorso, quando il tristemente famoso ‘paziente uno’ di Codogno ha innescato, suo malgrado, la diffusione a macchia d’olio del Coronavirus nel Lodigiano e poi in tutta la Lombardia e zone limitrofe. L’inferno latente, silente e infido, per noi italiani è iniziato quando ‘qualcuno’ ha deciso che non dovevamo essere informati a dovere su ciò che stava accadendo e dei rischi ai quali, già a gennaio, eravamo esposti! Avevamo il diritto di sapere, a gennaio, che questo virus è altamente contagioso, che può essere letale, e che per arginare il contagio occorre rispettare precise distanze e severissime norme igieniche ed invece (lo ricordo benissimo) a fine febbraio erano in tanti, tra illustri personaggi televisivi e pseudo ‘esperti’ in materia dal seguito social di non poco conto, che a mezzo stampa si facevano beffe, bollando il Coronavirus come “una influenza un po’ più pesante del solito”, di chi – infettivologi e virologi di comprovata competenza ed esperienza – cercava disperatamente di mettere in guardia l’opinione pubblica dai rischi di contagio ai quali ormai da settimane chiunque era esposto.
Così nel frattempo si è infettata una Nazione: i malati di Coronavirus risultati positivi dai primi di marzo sono coloro i quali, male informati da chi rappresenta le istituzioni ed ha preso sottogamba il parere della Comunità scientifica italiana, se ne andavano liberamente in giro (in quelle che inizialmente vennero identificate come ‘zone rosse e gialle’ del nord Italia) convinti che sarebbe stato sufficiente, per scongiurare il contagio, fare attenzione a non entrare a diretto contatto con chi manifestava i sintomi del raffreddore e più in generale dell’influenza. Tutti però sappiamo che le zone ‘a rischio’ a febbraio non sono state blindate e così è andato avanti, inesorabilmente, l’esodo di massa dal settentrione d’Italia verso il Sud ed il contagio si è diffuso ancora, sempre di più, stavolta a macchia di leopardo. Abbiamo quindi assistito a marzo, quando ormai il danno era fatto e soggetti positivi asintomatici, potenziali ed inconsapevoli ‘untori’, avevano disseminato il contagio in giro per il Paese, a Decreti-lampo, tardivi e sempre mancanti di qualcosa, annunciati a reti unificate alla stregua di ‘grandi esclusive’ di un reality show che hanno alimentato incertezze ed aggiunto confusione a quella che già si era venuta a creare in precedenza.
Quando rappresenti una Nazione in un momento storico così delicato, non puoi permetterti il lusso di rassicurare le persone se non sei padrone della situazione e per giunta consapevole di non poterle proteggere, a maggior ragione se in cuor tuo sai di non aver adottato tempestivamente tutte le misure di protezione e precauzione a tua disposizione. Piuttosto, armato di onestà intellettuale e parlando con la verità in bocca dopo avere consultato la Comunità scientifica, sarebbe stato di gran lunga più opportuno dare (la sera del 21 febbraio e non quasi dopo un mese da allora) limpide, chiare e perentorie linee guida per prevenire il contagio. Sarebbe stato più apprezzabile un Presidente del consiglio sicuro delle sue umane incertezze (vista la straordinarietà della situazione mai conosciuta prima dall’Italia), ché l’autorevolezza non la acquisisci dando diktat dalla tua scrivania a un Paese ormai in balìa dell’allarmismo (che tu con le tue titubanti decisioni prese tremendamente in ritardo hai contribuito ad alimentare!), attraverso decreti che hanno informato ‘a singhiozzo’ la cittadinanza, quando ormai gravi errori e ritardi erano stati commessi.
Ciò che mi fa specie, però, non è l’errore in sé. Chiunque può cadere in fallo soprattutto in situazioni di emergenza straordinaria come quella in oggetto, ma che si reiteri sempre lo stesso errore no, non è accettabile! Non da parte di chi ha la responsabilità di guidare lo Stato e il dovere morale di essere chiaro, severo e intransigente quando serve. Io non lo so se andrà tutto bene, nessuno lo sa. Possiamo solo augurarcelo. Perché dunque ripeterlo allo sfinimento che “andrà tutto bene”? Infondere ottimismo a profusione quando la conta dei morti giornaliera fa accapponare la pelle, lo vedo come l’ennesimo tentativo di non volere guardare in faccia la realtà per poi raccontarla come non è. Così si illudono le persone. Così si è infettata una Nazione.