Sparatoria a Torvaianica. E’ una classica domenica, a Torvaianica. I turisti si godono gli ultimi raggi di sole di un’estate che sembrava non dovesse esserci mai a causa dell’emergenza coronavirus. Bagni al mare, passeggiate, giochi con la sabbia. E poi lo sparo. La folla impazzisce, incomincia a correre da una parte all’altra. Il mandante può scappare senza paura di essere notato, e così sale sul motorino che lo sta aspettando. Cosa sta succedendo a Roma? Da quando le organizzazioni criminali spargono sangue in mezzo alla gente?
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Sparatoria a Torvaianica, Roma è diventata una “zona nostra”
Un runner arriva sulla spiaggia, finge di fare qualche allungamento e poi spara alla schiena di un bagnante, un ragazzo albanese. Si tratta del compagno della proprietaria dello stabilimento balneare Bora Bora. Ha precedenti per spaccio. Perché è stato colpito con il più classico degli agguati mafiosi? “I clan di Tirana e Scutari gestiscono direttamente le piazze di spaccio romane, controllano i carichi e hanno un ruolo di interlocuzione privilegiata con i cartelli storici calabresi e campani, cui forniscono marijuana a prezzi imbattibili detenendo ormai il monopolio del traffico”, spiega Roberto Saviano su Repubblica.
Questo dimostra che Roma sta cambiando. Che è diventata una “zona nostra”: non semplicemente un territorio in cui comandano i clan, ma un territorio in cui possono spargere sangue senza doversi preoccupare dello scandalo mediatico. E’, quindi, ufficialmente un territorio di mafia. Ma non è sempre stato così: “Con l’eccezione della Magliana, i clan ‘ndranghetisti, camorristici e mafiosi a Roma erano prudenti nello spargimento di sangue. Da sempre valeva una sorta di protezione nella Capitale”. C’è sempre stata una sorta di prudenza, dovuta al fatto che “non si spara dove si ara: dove ari per coltivare danaro con investimenti, dove crei legami politici importanti, più spari più generi fastidio”.
Sparatoria a Torvaianica: Roma, una Capitale gestita dalle mafie
“Ci sono zone considerate luoghi dove può avvenire l’omicidio, dove la guerra si può compiere perché non c’è più il tempo della mediazione.” Come, appunto, la Roma di oggi. La metamorfosi della Capitale è iniziata alcuni anni fa, e l’ha portata a vivere una vera e propria crisi criminale. “Le grandi organizzazioni criminali che comandavano su Roma- negli ultimi lustri le ‘ndrine calabresi e la camorra napoletana e casalese – hanno sempre lasciato un ruolo di controllo delle strade ai clan locali (come i Casamonica, gli Spada a Ostia, ma anche i Piscitelli…). Questa struttura permetteva a ‘ndrangheta, camorra e Cosa nostra di potersi limitare a coordinare gli affari senza dover entrare direttamente nella gestione militare.”
Ora però non è più così: il potere degli “storici” mafiosi sta passando nelle mani delle famiglie criminali albanesi, diventate sempre iu potenti grazie alla presenza sul territorio e all’efficienza dovuta agli affiliati stretti da legami di parentela. Sono, senza giri di parole, la nuova mafia romana. Ma come si comportano l’amministrazione, lo Stato, la stampa davanti a tutto questo?
La politica ha permesso che le mafie si radicassero nel territorio
Fanno finta che sia un episodio sporadico. Un’eccezione. “La risposta politica, in questi anni, è sempre stata sbagliata: si è sempre cercato di trattare la mafia a Roma come un fenomeno marginale, quando invece occupa ormai una parte centrale del segmento pubblico. La politica non ha mai cercato di sradicare le connivenze territoriali, dalle sale slot ai gruppi ultras legati alla criminalità organizzata, non si è mai opposta a tutto quel fascistume locale che ha sempre fatto da protezione e garanzia ai clan. Ha sempre permesso che questi fenomeni fossero visti come folkloristici, perché quei gruppi portano valanghe di voti alle elezioni amministrative”.
E così, ha lasciato che le organizzazioni criminali si radicassero sempre di più, indisturbate, tra le strade romane. E ha permesso che Roma diventasse “zona nostra”. >>Tutte le notizie di UrbanPost