Al Caffeina “Oro” Festival 2021 lo scorso mercoledì 30 giugno a Caprarola è andata in scena una delle presentazioni letterarie più belle degli ultimi tempi. Protagonista Giuseppe Festa, nella triplice veste di romanziere, musicista e divulgatore di tematiche ambientali. Lo scrittore lombardo è riuscito a legare le sue tre anime con la straordinaria empatia di cui ha vestito la presentazione de “I lucci della via Lago” (Salani, 2021), nello stupendo scenario del cortile di Palazzo Farnese, tra brevi letture e interventi musicali con chitarra e voce.
Il suo ultimo lavoro semi-autobiografico racconta una generazione, quella dei ragazzi dell’82, in riva al lago di Iseo, tra ricordi, amori adolescenziali, natura e lezioni di vita. Un affresco intenso ed attualissimo, dipinto con mano leggera e attenta ai particolari, che è un messaggio ai ragazzi di oggi, duramente messi alla prova dalle restrizioni e dalla “paura” della pandemia. Una narrazione pedagogica che accompagna i lettori lungo il racconto con il soffio delle emozioni e dei ricordi.
Abbiamo rivolto qualche domanda a Giuseppe, per comprendere di più le ragioni dietro il suo ultimo romanzo, scritto nel 2020 in piena emergenza Covid e in provincia di Bergamo, dove risiede da alcuni anni.
Giuseppe come nasce “I lucci della via Lago”? Io che nell’82 avevo 11 anni mi sono rivisto nei racconti dei tuoi protagonisti. Volevi realizzare un romanzo generazionale?
“Sì, anche questo. Ma non è un’operazione amarcord. Volevo raccontare un’epoca ai ragazzi che non è così diversa e lontana dal presente, anche se ovviamente ci sono differenze sostanziali. Internet, solo per fare un esempio. Mi ha incuriosito una domanda che mi ha fatto una ragazzina, durante una delle mie presentazioni online. Mi ha chiesto se i genitori fossero all’epoca più incoscienti o ci fossero davvero meno pericoli. Segno che la percezione della realtà, oggi, con la tecnologia e il dominio dei media, è radicalmente cambiata”.
“Oggi viviamo il mito della sicurezza totale, cosa che allora non c’era. E da un certo punto di vista ci faceva vivere più serenamente. I genitori, allora, erano convinti che noi dovessimo farci degli anticorpi e che non si poteva vivere sotto una campana di vetro. Noi, se ci chiudevano in casa, trovavamo una finestra per evadere. Oggi è diverso, i ragazzi trovano sì le finestre, ma sono finestre virtuali spesso molto pericolose”.
So che hai a cuore le tematiche ambientali e fai attività di sensibilizzazione nelle scuole. In questo romanzo questo tema emerge in maniera evidente, è voluto?
“Sì, diciamo che a partire da episodi, come quello della pesca un po’ selvaggia con l’archetto con cui si divertono i ragazzi protagonisti del libro, si veicola un messaggio di amore e rispetto per la natura. Come quello, davvero autobiografico, che vede il protagonista Mauri (personaggio ispirato allo zio di Giuseppe, ndr) interagire con il nonno durante la ‘frega delle alborelle’, un fenomeno tipico del lago d’Iseo. Dal contatto, anche un po’ ruvido, con la natura si apprendono i fondamenti per rispettarla. Insomma, per amare davvero la terra devi sporcarti prima le mani, conoscerla e sperimentarla. E lì che sviluppi quei ricordi sensoriali e di empatia che poi diventano consapevolezza ambientale.”
“Nel libro parlo di un ‘piantone’ un cedro del Libano che era nella piazza del paese in cui si svolge la storia. I protagonisti (e così noi da ragazzi) lo abbracciavamo, come fosse un nostro amico. Qualche anno fa il comune decide di abbatterlo perché danneggiava la strada. Io non sono il tipo che si incatena alle piante, ma ti giuro che se l’avessi saputo prima avrei fatto di tutto per evitare il suo abbattimento. Perché quell’albero non era solo una pianta, era un mio compagno di giochi, qualcosa con cui avevo intessuto un legame emotivo forte. I ragazzi devono intessere un rapporto emotivo con l’ambiente per difenderlo veramente”.
Il tuo romanzo è costruito attorno alle amicizie: i ragazzi del lago, “i turisti”, il personaggio del “tuffatore” che sfida il gruppo di amici. C’è anche una finalità educativa sul tema dell’amicizia?
“Non ho inserito dei messaggi, ma è il lettore che li coglie, come hai fatto tu. Volevo semplicemente raccontare la differenza dei rapporti tra allora e oggi. Quando noi eravamo adolescenti, i rapporti era molto diretti. E poi la presenza dei genitori c’era, come controllo però: non interagivano mai tra di noi. Dovevamo comunque gestirci i nostri rapporti, guardandoci negli occhi e alle volte anche facendo a botte. Era una palestra formidabile per quello che poi sarebbe successo nella vita.”
“Quello che mi spaventa di più, per i ragazzi di oggi, è la progressiva marginalità di questi rapporti diretti, che diventa poi assenza. Impressiona il delegare i rapporti ad altri, inclusa la tecnologia. Come le dichiarazioni d’amore per messaggio… Poi volevo evidenziare l’importanza del tempo vuoto. Nel romanzo i protagonisti hanno spesso tempo per annoiarsi. E questo è un aspetto fondamentale per immaginare il proprio futuro e per far esplodere la creatività. Oggi abbiamo la vita troppo piena di stimoli, non è sempre un bene”.
Giuseppe Festa, “I lucci della via Lago”, Salani, 2021
Un ringraziamento allo staff di Caffeina, a Sofia e Filippo che hanno contribuito alla realizzazione di questa intervista. A.M.