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Allevamenti intensivi, da dove arrivano orate e branzini destinati alle tavole italiane?

15/01/2020 18:09

Da dove provengono i branzini e lo orate destinati alle tavole degli italiani? Più del 50% della Grecia, e più precisamente dagli allevamenti intensivi di Sagiada, una piccola cittadina a nord di Igoumenitsa dove i pesci vengono rinchiusi in piccole gabbie rotonde vicino alla riva del mare, pronte a costringere fino a centinaia di migliaia di pesci a nuotare gli uni sugli altri prima di essere catturati per la vendita. Tutto accade sotto gli occhi di turisti in cerca di spiagge bianchissime e acque limpide, e che invece si trovano davanti un panorama di recinti colmi di branzini e orate.

allevamenti intensivi

Orate e Branzini, cosa accade negli allevamenti intensivi in Grecia

Tante piccole vasche a interrompere la vastità azzurra del mare: gli allevamenti di orate e branzini a Sagiada, vicino al confine con l’Albania, è impossibile non notarli. Anche perché in un tratto di costa di circa 18 km, è possibile contare almeno 26 impianti rotondi, piccole gabbie che contengono un vero e proprio sovraffollamento di quei branzini e quelle orate che, una volta pescate e uccise, sono pronte per viaggiare fino alle tavole italiane. Sì, perché “in Italia più della metà delle importazioni di branzino e orata proviene dalla Grecia”, spiegano i membri dell’associazione Essere Animali dopo l’inchiesta “Rinchiusi in mare aperto” che ha denunciato lo stato catastrofico degli allevamenti intensivi.

“Solo nel 2016 sono state importate circa 64mila tonnellate di queste due specie, di cui quasi 40mila direttamente dagli allevamenti ellenici. In sintesi: un branzino o un’orata su due in vendita nelle pescherie e nei supermercati italiani arriva da qui. Il pesce che proviene da questa zona viene venduto a metà del prezzo di quello allevato in Italia- spiegano ancora- Le gabbie in mare, infatti, sono collocate a ridosso della spiaggia, consentendo di ammortizzare sui costi di manutenzione”. Gabbie che costringono i pesci a nuotare ciclicamente in tondo, scontrandosi l’uno contro l’altro per anni e anni: “Le strutture possono raccogliere massimo 40 tonnellate di animali, circa 50-60 mila pesci che vivono insieme- dichiara uno dei responsabili di uno degli allevamenti- Alcuni stanno in questo dal 2015”.

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Allevamenti intensivi, un pesce consumato su due in Italia proviene da acquacoltura

Mangime mischiato ad antibiotici e antiparassitari per nutrirli, spazi ridotti per nuotare e infine la cattura: “L’uccisione è indubbiamente il momento in cui i pesci sono soggetti alle pratiche più dolorose e disumane– racconta Essere Animali- Abbiamo assistito alla cattura di branzini e orate che, impauriti, si dimenano nell’acqua e tentano di fuggire. Ammassati gli uni sugli altri all’interno di reti, in assenza di acqua boccheggiano e vengono schiacciati dal peso degli altri pesci intrappolati. In tutte le strutture visitate i pesci vengono gettati, ancora vivi, in contenitori ricolmi di acqua e ghiaccio, dove si contorcono in un’agonia interminabile. Infatti, la perdita di coscienza non è immediata e soffrono per decine di minuti prima di morire di congelamento e asfissia”.

Branzini e orate, tra l’altro, sono pesci carnivori: vengono allevati con mangimi ad alto contenuto di farina e olio di pesce, ingredienti che provengono dalla pesca del pesce selvatico: “Per fare 1kg di pesce devi dargli da mangiare almeno 2 kg di mangime prodotto col pesce selvatico”, spiega ancora uno degli allevatori. Insieme ai mangimi, però, ai pesci vengono dati con regolarità anche farmaci antibiotici e antiparassitari: “Li diamo a tutti- continua l’allevatore nel video di Essere Animali- Se ho una malattia qui e tu sei a 500 metri più in là, tempo due o tre giorni e anche tu hai la malattia”.

Non si parla di numeri ridotti: secondo l’ultimo rapporto Fai, nel 2016 la produzione mondiale di pesce ha raggiunto 171 milioni di tonnellate, suddivise in 90,9 milioni di catture (73 milioni destinati al consumo umano diretto) e 80 milioni in acquacoltura. Circa un pesce su due, in Italia, proviene da acquacoltura: ciò significa che questo metodo ha superato la pesca come fonte di approvvigionamento di risorse ittiche destinate al consumo umano diretto.

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