Oggi ricorre l’anniversario della strage di Capaci. Sono passati 29 anni da quel doloroso 23 maggio 1992 in cui il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di Polizia della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo furono trucidati da una bomba sull’autostrada A29, a pochi chilometri da Palermo. Cosa Nostra, fiaccata dal maxi-processo istruito da Falcone, rialzava la testa violentemente inaugurando la nerissima stagione delle stragi mafiose.
Anno dopo anno la celebrazione di questo triste anniversario per la storia d’Italia assume sempre più le sembianze di un feticcio. Come un feticcio è ormai la credibilità della Magistratura in Italia, fatta a pezzi negli ultimi trent’anni anni dallo sciagurato rapporto con la politica e l’incapacità di darsi un vero, autorevole ed imparziale autogoverno. Chi si è sorpreso della vicenda Palamara e ora continua a farlo per quella Ardita, probabilmente ha vissuto in un altro Paese.
Come ha ricordato non molto tempo fa il senatore Carlo Giovanardi su “Libero”, la sudditanza della politica italiana alla Magistratura, dal 1992 in poi, ha permesso tutto e di più. Una deriva incontrollata, in cui il prezzo più alto è stato pagato proprio dalla Giustizia, vera vittima sacrificale dell’incapacità di dialogo tra i due poteri più forti dello Stato.
“La battaglia contro la magistratura è stata perduta quando abbiamo abrogato le immunità parlamentari e Mastella (all’epoca ministro delle Giustizia, ndr) si è abbassato i pantaloni scrivendo sotto dettatura di quella associazione sovversiva e di stampo mafioso che è l’Anm”. Non sono parole mie, ma del compianto Presidente Emerito della Repubblica Francesco Cossiga.
Chi come Giovanni Falcone sognava una Magistratura indipendente e forte, mai serva di alcun potere e capace di guadagnare autorevolezza grazie al rigore del suo lavoro, oggi ha ormai poche speranze.
Restano, appunto, i feticci. Gli “eroi” trucidati dai contro-poteri, come Falcone, Borsellino, Scopelliti. E poi ci sono i feticci funzionali a conservare quel che resta mediaticamente più forte nel sistema Giustizia. Da Di Pietro in giù, i Pm sceriffi e i super-procuratori capo hanno guadagnato spazio, non sempre facendo un buon servizio alla Giustizia. Tra casi più o meno eclatanti, tra processi mediatici e processi volutamente “oscurati”, ormai interessa a pochi o nessuno raccontare se in Italia la giustizia venga davvero esercitata o meno.
Se siete tra i pochi, purtroppo, che leggono Piero Sansonetti o quel pugno di giornalisti che ancora hanno voglia di raccontare cosa succede davvero nelle aule di giustizia italiane, vi renderete presto conto dello sfacelo in cui siamo precipitati e di come sia più che mai urgente uscirne.
Anniversario strage Capaci: chi ricorda Falcone, oggi come domani, apra gli occhi
Mi è capitato di riascoltare alcuni processi degli anni ’90, periodo in cui stava germinando il seme dell’erba infestante che ha divorato la giustizia italiana, grazie al capillare archivio di Radio Radicale. Ne emerge uno spaccato inquietante: la prepotenza di giudici incapaci, poi guarda caso assurti all’onore delle cronache per episodi (privati e pubblici) di abuso di potere. Eppure la maggior parte di loro ha fatto carriera, sostenuta dalle proprie “correnti”.
Emerge la sudditanza di molti corpi intermedi: su tutti la stampa, complice di questa deriva per non aver avuto il coraggio di raccontarla davvero o peggio ancora per averla cavalcata strumentalmente. Affiora la solitudine di molti, avvocati, Pm, giudici che ancora “ci credono”, e di qualche cronista di frontiera. Emerge soprattutto la disperazione di chi, a causa del delirio di onnipotenza di alcuni magistrati, non ha avuto giustizia ed ha visto la sua vita fatta a pezzi “per legge”.
A chi ricorda Falcone oggi come domani, dovrebbe essere ben chiaro questo quadro. Se vogliamo parlare ancora di Giustizia, occorre che venga il più presto possibile sgombrato il campo da tutto ciò che in questo momento la strangola. Dai rapporti inconfessabili alle corruttele, dai comportamenti al di fuori delle regole alle auto-assoluzioni. Ma soprattutto va rotto il silenzio sulle ingiustizie.
“Un’ingiustizia fatta all’individuo è una minaccia fatta a tutta la società”, scriveva Montesquieu. Se non vogliamo smettere di essere una Nazione, ricordiamocelo.