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Coronavirus mense dei poveri, il mondo più in sofferenza: «La fame non va in quarantena»

23/03/2020 10:36 - Aggiornamento 23/03/2020 10:45

Su “L’Avvenire” un viaggio alla scoperta delle mense dei poveri e dei Banchi alimentari. Qui il coronavirus non è riuscito a fermare i volontari, a mettere un freno alla solidarietà. Come racconta Viviana Daloiso l’unico rumore che si sente fuori in via Sant’Antonio da Padova, accanto alla stazione di Porta Susa, a Torino, è quello del megafono di un giovane frate, Davide«Avevamo 180 ospiti al giorno, sono arrivati a oltre 350», racconta alludendo alla folla di persone accorsa alla mensa il religioso, che non indossa la mascherina: «Non posso portarla e poi guardare i miei poveri che non ce l’hanno», ha spiegato. Ovviamente si mantiene la distanza, si fa attenzione alle regole previste dal decreto. Anche se i primi giorni sono stati difficili: «Ci siamo trovati improvvisamente paralizzati nelle nostre routine. E col 70% fra loro sopra i 65 anni, quindi a rischio», ha detto il presidente della Fondazione Banco Alimentare Onlus Giovanni Bruno, in riferimento ai volontari a disposizione senza presidi per proteggerli.

Coronavirus poveri

Coronavirus mense dei poveri, il mondo più in sofferenza: «La fame non va in quarantena»

Un viavai di gente, di pacchi che arrivano, di mani che lavorano. È l’immagine di un’Italia che aiuta, generosa quella del convento piemontese e non solo. «È una delle cose che ci dà forza, oltre la fede – confessa fra Davide – «Accanto alla fila dei poveri c’è la processione ininterrotta della carità: la gente che porta gli avanzi, i ristoratori che si danno da fare, i supermercati che si mobilitano per le eccedenza». Eh già, il giovane ci tiene a precisarlo: «La fame non va in quarantena». Lo dicevamo in apertura, i primi giorni sono stati duri: responsabili e volontari non riuscivano ad organizzarsi. Parliamo di una macchina della solidarietà che comprende nei suoi ingranaggi 8.800 mila enti caritativi, da cui dipende la sopravvivenza di quasi due milioni di poveri. Una paralisi durata poco: «Siamo stati investiti da quello che possiamo definire uno tsunami di solidarietà, a cominciare dai ragazzi della Colletta», ha dichiarato il presidente Giovanni Bruno.

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«Far arrivare il cibo con le prime restrizioni è stato difficilissimo, ci siamo appoggiati alla Protezione civile»

Cibo nelle mense, ma anche consegne a casa per chi non può spostarsi e non ha da mangiare. Non sono poche quelle persone che hanno perso il lavoro saltuario che avevano a causa dell’emergenza coronavirus. Per fortuna ci sono però studenti, disoccupati, dipendenti in smart working mezza giornata. Sono i giovani, in genere impegnati saltuariamente col volontariato, scesi in campo ovunque per sostituire gli anziani costretti a casa. Il cibo va consegnato a domicilio e bisogna stare attenti. Che non significa non avere paura, ma vuol dire avere coraggio. Una realtà capillare, che investe non solo Torino, ma diverse città italiane. Le piccole, grandi battaglie dei volontari sono cominciate nelle prime zone rosse del Basso Lodigiano, un mese fa. «Far arrivare il cibo con le prime restrizioni è stato difficilissimo, ci siamo appoggiati alla Protezione civile», spiega il presidente. Si guarda al modello di Milano, più strutturato, con l’obiettivo di fare meglio: «Si cerca di sopperire alla capillarità del nostro servizio, che in questo momento non può essere garantita, in questo modo. Certo, il Banco della Lombardia ogni giorno serve 70mila persone, non so se riusciremo ad arrivare a questi numeri. Ma il nostro obiettivo è incrementarli, giorno dopo giorno», ha proseguito Bruno.

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Coronavirus i poveri disorientati: «La distribuzione porta a porta? È venuto il momento di aiutare»

In affanno il mondo delle parrocchie, che hanno dovuto chiudere i propri spazi. «Qui a Torino – racconta ancora fra Davide – la colazione nella struttura delle suore vincenziane, per esempio, era un punto di riferimento per gli indigenti, in particolare per i senza fissa dimora. Ora, con la chiusura di quegli spazi, queste persone oltre ad aver perso la possibilità di un pasto sono anche disorientate, si sentono smarrite». Accanto a strutture come queste le mense, i dormitori, i centri d’ascolto«Questi sono senz’altro i punti più fragili del sistema adesso – rileva anche il presidente del Banco –, cui tutti insieme stiamo cercando di sopperire con una nuova organizzazione della solidarietà. È chiaro che lo scenario è inedito per tutti, servirà un po’ di tempo». Ma la speranza è l’ultima, quella in fondo al vaso. Ed è bellissima l’immagine di un’anziana «che riceve il pacco e apre la porta urlando ai volontari sul pianerottolo che pensava d’essere stata abbandonata. E invece no. C’è la famiglia che bussa a un magazzino e chiede di cosa c’è bisogno, perché in passato sono stati aiutati e adesso sentono che è venuto il momento loro, di aiutare». 

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