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Coronavirus, non è vero che in Italia ci sono più morti che in Cina

18/03/2020 19:30

Qual è la letalità del coronavirus? Difficile ancora dirlo. Oggi i numeri non ci permettono di conoscere relativamente il suo effetto, perché manca tutta quella parte di possibili contagiati asintomatici o con lievi sintomi che non viene analizzata tramite il tampone. Secondo la Fondazione Gimbe, infatti, si potrebbe parlare di almeno centomila contagiati. Per conoscere meglio il quadro generale, sarebbe opportuno ampliare le ricerche. Solo in questo modo potremmo capire se l’epidemia in corso in Italia sta avendo, davvero, effetti diversi da quella cinese.

Coronavirus, il report della Fondazione Gimbe

La Fondazione Gimbe (Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze), promuove e realizza le attività di formazione e ricerca in ambito sanitario. Secondo il report pubblicato ieri, “l’aggiornamento del 16 marzo (che non include i dati della Puglia e della Provincia autonoma di Trento), riporta 27.980 casi. Di questi 1.851 (6,6%) in terapia intensiva; 11.025 (39,4%) ricoverati con sintomi; 10.197 (36,4%) in isolamento domiciliare; 2.749 (9,8%) dimessi guariti; 2.158 pazienti deceduti (7,7%)”, con punte “del 9,8% in Emilia Romagna e del 9,7% in Lombardia rispetto al 4% nelle altre Regioni”.

Questi numeri, tuttavia, non ci permettono di conoscere veramente la letalità della malattia. Come spiega infatti il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta, “questa distribuzione della gravità della malattia appare molto più severa di quella cinese. Lo studio condotto sulla coorte cinese e pubblicato su JAMA riportava 44.415 casi confermati di cui 81% lievi, 14% severi (ospedalizzati) e 5% critici (in terapia intensiva), con un tasso grezzo di letalità del 2,3%”. In Italia, però, i casi lievi o asintomatici non sono registrati. Per questo il tasso di mortalità del 5,4% andrebbe riesaminato, e per lo stesso motivo l’Oms ha richiesto all’Italia di moltiplicare i tamponi.

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Coronavirus, Cartabellotta: “In Italia probabilmente ci sono oltre 70mila casi lievi/asintomatici”

Secondo Cartabellotta, quindi, “assumendo una distribuzione di gravità della malattia sovrapponibile a quella della coorte cinese, si può ipotizzare che in Italia la parte sommersa dell’iceberg contenga oltre 70mila casi lievi/asintomatici non identificati”. Questo cambierebbe totalmente le statistiche, e i numeri si riallineerebbero con le percentuali cinesi. “La recente impennata dei casi in Spagna, Francia, Germania, dimostra che la battaglia è analoga a quella italiana, con ritardo di 7-9 giorni”, si legge nel report. E nonostante gli altri Stati abbiano avuto “la possibilità di giocare d’anticipo avendo visto il film italiano”, hanno al contrario “perseguito politiche attendiste”, spiega Cartabellotta.

“Nonostante alcuni evitabili ritardi- continua- l’Italia è sulla giusta strada per contrastare l’avanzata del Coronavirus. Adesso spetta a noi tutti fare i necessari sacrifici individuali per contribuire alla tutela della salute e alla tenuta del nostro insostituibile Servizio sanitario nazionale”. Sicuramente, purtroppo, “i tempi non saranno affatto brevi”.

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L’Italia paga i tagli alla sanità fatti negli anni

Dal 2019 al 2019 sono 37 miliardi gli euro tagliati al Servizio sanitario nazionale dai vari governi. E oggi ci costringono ad affrontare una realtà che, forse, sarebbe potuta essere diversa. E’ anche per questo, insieme ai numeri non corretti, che non si può dire quando finirà l’emergenza coronavirus. Sul report, inoltre, si legge che “la validità dei modelli predittivi è influenzata da due fattori inprevedibili: la diffusione asincrona del Coronavirus e l’assenza di un piano pandemico unico in Europa”. A questo bisogna aggiungere anche i “casi di rientro” in tutte le aree nazionali e la diversa efficacia delle azioni di contenimento e contrasto del virus negli altri Paesi.

“Le conseguenze di questo approccio frammentato- spiega Cartabellotta- sono piuttosto prevedibili”. Persino sul piano politico, “perché sarà molto più difficile predisporre misure straordinarie per fronteggiare la recessione economica se i Paesi del G7 e del G20 si troveranno disallineati nella gestione dell’epidemia e delle sue conseguenze sui mercati finanziari”.

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