Siamo sicuri che la lotta da combattere sia quella dell’identificazione digitale? Alcuni giorni fa il leader delle Sardine, Mattia Santori, ha annunciato di voler portare avanti una proposta di “Daspo” social per associare a ogni profilo digitale un’identificazione e introdurre così un provvedimento di espulsione per chi viola le regole della convivenza civile in rete. Un’idea che si pone nel mezzo tra la censura e la giustizia e che rischia di attaccare il problema sbagliato: non è necessario imbavagliare, ma bisogna iniziare a combattere le forme d’odio che sono state totalmente sdoganate. E non dai piccoli utenti.
Un daspo social non risolverà la legittimazione all’odio
Insomma, che gli utenti di giganti piattaforme social lascino commenti densi di odio e insulti ovviamente non è corretto. Come non lo è curare le malattie solo per alcuni sintomi. Bisogna andare alla radice del problema, e la questione non è altro che la legittimazione a esprimere odio e violenza in qualsiasi momento, luogo e spazio. Il problema è che alcuni politici hanno insegnato che va bene farlo, va bene esporsi sempre come se si fosse attorno a un tavolino del bar sport con gli amici, anche quando si è in luoghi istituzionali. Va bene perché dimostra naturalezza, istinto, spontaneità. E invece no: non dimostra altro che ignoranza, mancanza di rispetto e violenza. Creare un daspo social, però, nasconde solamente il problema sotto al tappeto. Non lo sradica.
Partiamo dal principio: l’anonimato è una delle basi dei social network. Nasce per far esprimere chiunque, in qualsiasi momento, senza il timore di essere censurato, additato, cercato. Nasce per tutelare la libertà di pensiero e di parola. L’idea di introdurre obblighi generalizzati di identificazione per l’uso di servizi online è stata bollata come liberticida e incompatibile con i diritti fondamentali dell’uomo nel maggio del 2011, dall’allora relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di espressione Frank La Rue. Non solo: nella Dichiarazione dei diritti in Internet elaborata dalla Commissione preseduta da Stefano Rodotà e approvata dall’assemblea della Camera dei deputati nel 2015, nell’articolo 10, si legge: “Ogni persona può accedere alla rete e comunicare elettronicamente, usando strumenti anche di natura tecnica che proteggano l’anonimato ed evitino la raccolta di dati personali, in particolare per esercitare le libertà civili e politiche senza subire discriminazioni e censure”.
Dal riconoscimento personale alla censura il passo è breve
Facciamo un ulteriore passo indietro: l’identificazione social esiste già. Tutti i profili sono tracciati e rintracciabili tramite l’indirizzo IP con cui ogni persona si collega alla rete e naviga. Per questo, in realtà, siamo già visibili e rintracciabili in caso di reato. Strutturare un corpo speciale di polizia per controllare chi e cosa viene scritto in rete, contrasterebbe il principio più bello che internet ha concesso all’uomo: esprimersi liberamente. Anche se le persone la pensano in modo diverso dal tuo. Anche se non ti piacciono le loro idee. E ovvio, questo dovrebbe avere un limite. Ma non sarà censurandole che si contrasterà l’odio. Anzi, probabilmente in questo modo non si farà altro che alimentare una macchina affamata di violenza.
Soprattutto, perchè prendersela con i piccoli leoni da tastiera quando figure come Donald Trump e Matteo Salvini hanno insegnato al popolo che l’odio è totalmente legittimato? L’odio è diffuso a volto scoperto, questo è il vero problema. Non l’identificazione social. Perché non esiste nessuna correlazione tra odio e anonimato. Una politica senza filtri legittima, tutela e dà forza anche ai piccoli odiatori seriali, quelli che si divertono a prendere in giro e insultare il Sergio Echamanov di turno perché dislessico, Lorenzo Donnoli perché Asperger e così via, dalle sardine in poi.
E serve, a certi politici, per “tenere alto il livello di paura e le coscienze ignoranti, paura della povertà, paura dell’ignoto, paura di trovarsi di fronte al grande vuoto di se stessi con la coscienza critica in stato di assoluta catalessi”, diceva Jovanotti nel 1997 tramite parole che sembrano rispecchiare perfettamente anche il 2020. Questa è la vera lotta da combattere.