Il numero 17 è ritenuto particolarmente sfortunato in Italia e in pochi altri paesi di cultura greco-latina. Esistono diversi pregiudizi legati al 17 principalmente legati alla cultura popolare e alla superstizione, ma ci sono origini storiche legate alla paura di questo numero. Se poi questo è abbinato con il venerdì, si salvi chi può! Ecco perché venerdì 17 viene considerato un giorno sfortunato.
L’origine dell’eptacaidecafobia
Si tratta puramente di superstizione, ereditata da una delle civiltà più superstiziose della storia dell’umanità. Il 17 infatti non vanta di una buona fama per ragioni storiche risalenti ai tempi dell’antica Roma. Nel 9 d.C. i romani combatterono la battaglia di Teutoburgo contro i germani. Lo scontro vide la sconfitta fragorosa delle legioni 17,18, e 19. Da quel momento, nella tradizione romana quei numeri furono considerati sinonimo di sventura. Ma non solo. Sulle tombe dei defunti spesso si poteva trovare la scritta VIXI: in latino “ho vissuto”, cioè “sono morto”. Quest’ultima è l’anagramma di XVII, 17 in numeri romani.
L’eptacaidecafobia è quindi un’eredità tutta romana, che infatti non viene condivisa dalla maggior parte delle culture occidentali. È l’Italia a distinguersi dal resto del mondo (nella smorfia napoletana, il 17 è sinonimo di disgrazia!), mentre nei paesi latinoamericani e anglosassoni il giorno sfortunato per eccellenza è martedì 13.
La superstizione sul venerdì
Se poi il 17 del mese cade proprio di venerdì, i superstiziosi hanno di che preoccuparsi. Anche il venerdì ha diverse ragioni per non essere amato, se si guarda alle tradizioni religiose. Secondo la religione cristiana, Gesù fu crocefisso proprio il quinto giorno della settimana. Per i musulmani, invece, il venerdì è infausto perché è il giorno in cui Adamo ed Eva mangiarono il frutto proibito.
La distinzione tra dies fasti, ovvero i giorni fortunati, e dies nefasti, i giorni sfortunati, infine, esisteva anche nell’antica Roma. Il venerdì, con poca sorpresa, compariva tra i giorni nefasti, insieme al martedì. Il martedì era “sfortunato” tra i Romani perché dedicato a Marte, dio della discordia. Per il venerdì, si credeva che i figli concepiti in questo giorno avrebbero avuto una vita difficile. Da qui deriva il detto, giunto fino ai giorni nostri, “né di Venere né di Marte ci si sposa né si parte”.