Oggi è la Giornata Mondiale dell’infermiere, ma siamo certi che in pochissimi sapevano di questa ricorrenza. Quest’anno il 12 maggio è festa tripla si celebrano gli infermieri, i 200 anni dalla nascita di Florence Nightignale, fondatrice dell’infermieristca moderna. Ma questo è anche il giorno più importante dell’Anno dell’infermiere proclamato dall’OMS. La ricorrenza viene celebrata già dal 1974, ma sarà dal 2020 nessuno la dimenticherà più. In questa situazione di emergenza sono stati tanti i cartelli e gli applausi dedicati agli infermieri. Un applauso che però, se si scava un filo sotto la superficialità di gesti dettati dall’emotività, ha il sapore amaro della beffa. Questa figura professionale c’è sempre stata e sempre ci sarà. E’ pronta ad aiutare, a donare conforto ma rimane sempre nel silenzio e un po’ nell’ombra.
Leggi anche: Silvia Romano news, parla lo zio: «Musulmana perché costretta, l’avranno anche drogata» (AUDIO)
La Giornata Mondiale dell’infermiere
“L’infermieristica non è semplicemente tecnica, ma un sapere che coinvolge anima, mente e immaginazione”: è forse questa la frase più famosa di Florence Nightingale, fondatrice delle Scienze infermieristiche moderne nata il 12 maggio 1820. La parte infermieristica non è visibile a tutti anche se svolge un lavoro essenziale. Solo in questa pandemia siamo davvero riusciti a riconoscere il valore di queste persone. Gli infermieri sono diventati un ponte tra i familiari e il paziente.
Un lavoro anche completo, come ricorda Annette Biegger, responsabile dell’Area infermieristica dell’EOC: «C’è una parte scientifica, una di relazione terapeutica con il paziente, una di collaborazione in team multidisciplinari. Ma bisogna essere consapevoli che questo è un mestiere che richiede sacrifici, fisici e mentali. E queste settimane di pandemia ne sono un chiaro esempio, con turni di 12 ore». Questo è stato il periodo più duro a livello non solo fisico ma anche mentale. Sono stati circa 12 mila gli infermieri contagiati dal nuovo coronavirus, 39 i deceduti, di cui 4 suicidi. In tutta questa pandemia gli infermieri si sono dovuti confrontare costantemente con il tema più difficile: la morte.
Il momento più difficile
«Di regola le famiglie dei pazienti in fin di vita sono presenti» spiega Maria Chiara Canonica, responsabile dei servizi infermieristici della Carità di Locarno, l’ospedale COVID del Ticino. «Purtroppo, a causa del virus, gli esterni non avevano accesso agli ospedali. Per le famiglie era quindi importante sapere che con il loro caro c’era qualcuno. Ed eravamo noi infermieri. Siamo stati le mani, lo sguardo e le parole dei famigliari durante gli ultimi istanti di vita dei pazienti». –> altri gossip