C’è un momento, durante una stagione influenzale, in cui smettiamo di parlare di numeri e iniziamo a parlare di corpi. Di persone stese a letto più a lungo del previsto. Di bambini che tornano da scuola con gli occhi lucidi e la febbre che sale troppo in fretta. Di adulti giovani che non pensavano di doversi fermare e invece si ritrovano senza fiato, stanchi, spaventati. È in quel momento che le parole di Matteo Bassetti smettono di sembrare un avvertimento generico e iniziano a suonare come una cronaca annunciata.
L’influenza K, sottotipo del virus A/H3N2, non è una novità assoluta per chi segue l’evoluzione dei virus respiratori. Ma quest’anno sta mostrando un volto più duro, più insistente, meno indulgente. Non è l’influenza “da qualche giorno a letto e poi via”. È una forma che resta, che ritorna, che mette alla prova la resistenza fisica e mentale di chi la contrae.
Secondo i dati più recenti, in Italia si registrano quasi settecentomila casi in una sola settimana. Un numero che non racconta solo una diffusione ampia, ma anche un cambiamento qualitativo del virus. Perché, come sottolinea Bassetti, quando aumentano i casi aumentano inevitabilmente anche le forme gravi. È una questione statistica, ma anche profondamente umana.
Cos’è davvero l’influenza K e perché sta preoccupando gli esperti
La variante K dell’H3N2 è un ceppo che ha dimostrato una particolare capacità di aggirare l’immunità pregressa. In altre parole, chi ha già avuto l’influenza l’anno scorso o chi si è vaccinato con formulazioni precedenti potrebbe non essere completamente protetto. Non perché i vaccini non funzionino, ma perché il virus, come fa da sempre, è cambiato.
Gli studi pubblicati a livello europeo raccontano una storia chiara. Nell’emisfero Sud, questa variante ha allungato la stagione influenzale di almeno un mese. In Australia e Nuova Zelanda, i casi sono rimasti elevati fino a novembre inoltrato, lasciando strascichi evidenti anche sul sistema sanitario. Ora quello stesso schema sembra ripetersi in Europa.
Bassetti lo dice senza giri di parole: quello che abbiamo visto altrove è destinato a verificarsi anche in Italia. Non è una previsione catastrofica, ma una lettura dei dati. E i dati, quando si parla di virus, raramente mentono.
I sintomi dell’influenza K: perché questa volta durano di più
Uno degli aspetti che più colpiscono chi contrae l’influenza K è la durata dei sintomi. Bassetti parla apertamente di sette, otto, fino a nove giorni di malessere. E non si tratta di un decorso lineare. Questa influenza ha un andamento irregolare, quasi beffardo.
Il primo segnale è spesso una febbre molto alta, che può arrivare rapidamente a trentanove o quaranta gradi. Un picco improvviso, violento, che costringe a fermarsi. Dopo alcuni giorni, però, molti pazienti riferiscono un apparente miglioramento. La febbre scende, il corpo sembra riprendersi. È qui che nasce l’illusione di essere fuori pericolo.
Ma poi arriva il secondo tempo. Un nuovo aumento della temperatura, una ricaduta che sorprende e spaventa. È il cosiddetto doppio picco di febbre, uno degli elementi distintivi di questa stagione influenzale. A questo si aggiungono dolori muscolari intensi, tosse persistente, mal di testa che non dà tregua e una stanchezza profonda, difficile da spiegare a chi non l’ha provata.
La stanchezza che resta: il sintomo più sottovalutato

Tra tutti i sintomi, ce n’è uno che Bassetti invita a non ignorare: la spossatezza che persiste anche dopo la fase acuta. Molti raccontano di sentirsi svuotati, come se il corpo avesse consumato tutte le riserve. Non è semplice affaticamento. È una sensazione di lentezza generale, di difficoltà a tornare ai ritmi abituali.
In una società che premia la produttività e guarda con sospetto chi si ferma, questo sintomo viene spesso minimizzato. Si torna al lavoro troppo presto, si riprendono le attività quotidiane senza aver davvero recuperato. Ed è proprio in questa fase che possono comparire le complicanze.
Bassetti insiste su un concetto semplice ma scomodo: il corpo ha bisogno di tempo. Ignorarlo non accelera la guarigione, la ritarda.
I numeri in Italia e le regioni più colpite
I dati del sistema di sorveglianza RespiVirNet parlano chiaro. In una sola settimana, quasi settecentomila italiani sono stati colpiti da infezioni respiratorie acute. Un aumento significativo rispetto alla settimana precedente, ma in linea con l’andamento atteso per questo periodo dell’anno.
Le regioni con il maggior numero di casi sono Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Sardegna. Qui la circolazione dei virus influenzali è particolarmente intensa e rappresenta ormai circa un quarto di tutte le infezioni respiratorie registrate.
Ma il dato che colpisce di più è un altro: l’età media dei pazienti si è abbassata di circa cinque anni. Questo significa che l’influenza K non sta colpendo solo anziani e fragili, ma anche adulti giovani e bambini.
Perché i bambini sono al centro della diffusione
I bambini sotto i quattro anni sono la fascia più colpita. L’incidenza è tripla rispetto alla popolazione generale. Il motivo è semplice e allo stesso tempo preoccupante. I più piccoli non hanno mai incontrato questo virus e, in molti casi, non sono vaccinati. Il loro sistema immunitario non ha memoria.
La scuola diventa così il primo luogo di diffusione. Da lì il virus arriva in casa, colpisce genitori, nonni, parenti. È un meccanismo noto, ma quest’anno particolarmente evidente.
Bassetti lo dice chiaramente: i bambini sono il volano dell’infezione. Non per colpa, ma per dinamica biologica. Ed è per questo che la vaccinazione pediatrica assume un ruolo centrale nella prevenzione.
Chi è davvero a rischio con l’influenza K
Quando si parla di rischio, il pensiero va subito agli anziani. Ed è giusto. Ma i ricoveri raccontano una storia più complessa. Nei reparti di malattie infettive stanno arrivando anche ventenni sani, senza patologie pregresse.
Bassetti ha raccontato di casi gravi di pericardite e miocardite in giovani adulti non vaccinati. Ha parlato di polmoniti severe negli anziani, ma anche di complicazioni cardiache in persone che fino a pochi giorni prima stavano bene.
Il virus influenzale non colpisce un solo organo. Ha un tropismo diffuso. Può interessare cuore, polmoni, reni, cervello. Non è un dettaglio tecnico, è la ragione per cui l’influenza non dovrebbe mai essere considerata banale.
Leggi anche: Super influenza: i 3 nuovi sintomi che stanno colpendo tutti e che non vanno ignorati
Il picco atteso: perché gennaio sarà il mese più difficile
Secondo le previsioni di Bassetti, il picco dell’influenza K in Italia è atteso tra la prima e la seconda settimana di gennaio. Un periodo già delicato per il sistema sanitario, spesso sotto pressione per l’aumento stagionale dei ricoveri.
Il rischio è quello di reparti pieni, di personale stremato, di molte persone costrette a restare a casa contemporaneamente. Uno scenario che ricorda dinamiche già viste, anche se in contesti diversi.
Non è un invito al panico, ma alla preparazione. Sapere cosa ci aspetta permette di affrontarlo meglio.
Cura e farmaci: cosa fare e cosa evitare
Su un punto Bassetti è particolarmente netto: l’abuso di farmaci è un errore. Il paracetamolo va usato solo quando la febbre supera i trentotto, trentotto e mezzo. Non in modo fisso, non preventivamente.
Gli antibiotici, invece, non servono. Non funzionano sui virus e il loro uso improprio favorisce l’antibioticoresistenza. Un problema serio, che rischia di avere conseguenze ben oltre questa stagione influenzale.
La durata dell’influenza, ricorda Bassetti, resta in media di sette giorni. Che si prendano molti farmaci o nessuno. L’obiettivo della terapia è alleviare i sintomi, non accelerare forzatamente un processo che ha tempi biologici propri.
Alimentazione, riposo e piccoli gesti che fanno la differenza
Durante l’influenza K, l’organismo è sotto stress. Mangiare leggero, bere a sufficienza, riposare davvero sono indicazioni semplici, ma spesso disattese. Non servono eccessi, serve equilibrio.
Spremute, pasti semplici, sonno regolare. E soprattutto l’accettazione di una verità scomoda: non si guarisce più in fretta ignorando la malattia.
Il monito finale di Bassetti: una lezione che torna ogni anno
Bassetti lo ripete da mesi. Da agosto. Questa sarebbe stata una stagione impegnativa. E ora i fatti gli stanno dando ragione. Il suo monito non è solo sanitario, è culturale.
Vaccinarsi non è un gesto individuale isolato. È una scelta che ha conseguenze collettive. Protegge chi è più fragile, riduce la pressione sugli ospedali, limita la diffusione del virus.
Ma c’è un messaggio ancora più profondo. L’influenza K ci ricorda che il corpo non è una macchina. Che la salute non è scontata. Che fermarsi, quando serve, non è una resa, ma una forma di intelligenza.
Questa stagione influenzale passerà. Come tutte. Ma il modo in cui la stiamo attraversando dice molto di noi. Della nostra capacità di ascoltare, di prevenire, di prenderci cura. Non solo degli altri, ma anche di noi stessi.
Forse è questa la vera lezione che l’influenza K ci sta lasciando. E sarebbe un errore ignorarla.
