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Kobe Bryant, un anno senza il Black Mamba e la piccola Gigi

26/01/2021 09:34 - Aggiornamento 27/01/2021 11:47

Kobe Bryant anniversario morte. Era il 26 gennaio 2020: “Kobe Bryant e sua figlia Gianna muoiono nello schianto di un elicottero“. Poche parole che incominciarono a rimbalzare subito da un’agenzia all’altra, fermando il tempo. “Sarà una fake news”, sperarono i più. Fuori Los Angeles, causa la poca visibilità, un incidente portò la morte del campione di basket, di sua figlia e di altre sette persone. Non tardò ad arrivare la conferma che fece sprofondare in un mare di dolore gli appassionati di sport per la perdita di un simbolo del basket. Di un uomo che, durante la sua carriera, ha fatto la pallacanestro.

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Kobe Bryant anniversario morte, un anno senza il campione

A distanza di un anno dalla sua scomparsa, il ricordo è più vivo che mai. Kobe Bryant non è stato solamente un campione dello sport: Kobe è stato lo sport.È morto a 41 uno dei più grandi giocatori di basket: Kobe Bryant ha perso la vita in un incidente in elicottero. Per lui 20 anni in... La sua determinazione ai limiti dell’ossessivo lo ha portato a essere quello che oggi ricordiamo come uno dei più grandi giocatori di basket. Venti anni di carriera con la maglia dei Laker, 5 titoli vinti e una serie di record, però, non bastano a raccontare quello che è stato. La “Mamba mentality” è ciò che più ci ha lasciato in eredità: l’etica del lavoro, la capacità di reagire alle difficoltà, la forza di non mollare mai, di pretendere sempre di più da se stessi.

La sua fame di successo era qualcosa di compulsivo, una necessità che lo ha spinto ogni giorno ad allenarsi di più, a migliorare. Quasi in modo ossessivo. Non è un caso che sia tuttora il titolare della seconda miglior prestazione assoluta in Nba, con i suoi 81 punti del 22 gennaio 2006.

In tutta la sua carriera Kobe Bryant è riuscito sempre a dividere gli appassionati del basket: si diceva che o lo si amava, o lo si odiava. In realtà tutti portavano un profondo rispetto per lui: il suo talento era innegabile, che si volesse ammetterlo o meno. Poteva non piacere il suo modo di giocare solitario, il suo palese sentirsi sempre migliore degli altri. Tanto da sminuirli, spesso, i suoi compagni. Ma Kobe Bryant era molto di più di quello che ha fatto trasparire durante gli anni sul parquet, e lo ha dimostrato principalmente dopo il suo addio al basket. Quella lettera, così toccante e personale, che ha fatto scendere una lacrima a tutti i veri amanti della pallacanestro e che in qualche modo li ha uniti tutti sotto l’ombra stesse parole.

26/01/2020 – 26/01/2021: l’anniversario della morte di Kobe Bryant

E poi come non ricordare il celebre “Mamba out“, la frase con cui concluse il discorso dopo la sua ultima partita in carriera per dedicarsi alla famiglia e usare la sua immagine per il bene della comunità. Già, la famiglia. Forse, solo proprio dopo il suo addio al basket Kobe Bryant ha dimostrato chi era realmente. Una volta appese le scarpe al chiodo ha fondato la Mamba Sports Foundation, oggi dedicata anche alla “Mambacita” Gigi e gestita dalla moglie Vanessa, per aiutare le famiglie meno fortunate a togliere i più giovani dalla strada. Si è sempre schierato a favore della pallacanestro femminile, contro la violenza della polizia esercitata sugli afroamericani. Ma, in particolare, Kobe Bryant aveva deciso di dedicare il suo tempo alla sua famiglia, a sua moglie e alle sue figlie.

Assieme a lui, però, il destino ha voluto che in quella tragica mattinata ci fosse anche la piccola Gianna Maria, Gigi. Aveva solo 13 anni, era una promessa del basket e sognava di raccogliere l’eredità del padre.

Kobe Bryant basket nba

L’ultimo saluto al Black Mamba

Il basket, lo scorso 26 gennaio, è cambiato. Non solo l’Nba ha perso uno dei suoi ambasciatori più carismatici e divisivi della storia. Ha perso un amico, uno sportivo che, nonostante il suo addio alla palla a spicchi, ha sempre continuato a presentarsi nei palazzetti per salutare gli ex compagni, gli amici, e dare loro qualche consiglio. Come scordare il suo contagioso sorriso. E come si può dimenticare il caloroso addio che gli è stato fatto allo Staples Center di Los Angeles, che ha regalato momenti di grande commozione. C’erano tutti: dalla moglie Vanessa ai più grandi nomi della pallacanestro, da Michael Jordan a Shaquille O’Neal. Tutti lì per ricordare la leggenda.

Quando è morto Kobe, è morta una parte di me“, ha detto tra le lacrime Jordan. No, Michael, quando è morto Kobe Bryant, è morta una parte di basket. >>Tutte le notizie di UrbanPost