Oggi Lesbo è il simbolo del fallimento politico internazionale. Dopo l’apertura delle frontiere stabilita dal presidente turco Erdogan, l’isola greca è diventata una vera e propria prigione a cielo aperto per circa 20mila persone. In una situazione drammatica caratterizzata da lotte e sbarchi, quella che si sta verificando non si può definire diversamente che una catastrofe umanitaria.
Lesbo, la crisi dei migranti ignorata dall’Europa
Tutta l’isola è una bomba a orologeria pronta a esplodere. Proteste, lancio di sassi contro i pullman, insulti e violenze verso i giornalisti e i volontari: la disapprovazione dei residenti è alle stelle. Le manifestazioni hanno impedito alle persone appena sbarcate di essere trasferite nel campo profughi. Molti sono accampati nel nord dell’isola a Skala Sikamia, o vicino al porto di Mitlene. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha allestito qualche tenda, ma alcuni hanno dovuto dormire sulla battigia, perché non c’erano posti per tutti. Venti mila migranti, di cui sette mila bambini, ma per loro non c’è spazio e per questo dallo scorso settembre il governo greco trasferisce poche persone alla volta sulla terra ferma. Sono persone che scappano dalla guerra, e non sanno che ad accoglierle sarà del filo spinato.
Qualche giorno fa, il 1 marzo, alcuni manifestanti hanno cercato di impedire a un gommone carico di profughi di sbarcare sulla spiaggia di Thermis. Lo stesso giorno, un centro di accoglienza in disuso a nord dell’isola è stato dato alle fiamme. A essere sotto attacco però non sono solo i profughi, ma anche tutti gli operatori. Molti attivisti, considerata la situazione, sono stati costretti a sospendere le loro attività di sostegno. Ed è una vera e propria questione politica: si vuole spaventare gli attivisti e allontanarli.
Lesbo, una catastrofe umanitaria
“In questo momento ho molta paura”, racconta Josep, un volontario spagnolo del Pikpa camp, a l’Internazionale. “I profughi mi hanno cominciato a dire che ricorda l’atmosfera della guerra”, continua. “Non ho mai visto niente del genere”, dice Efi Latsoudi, un’abitante di Lesbo che lavora al Pikpa. “Sono stata minacciata sotto gli occhi dei poliziotti”, afferma spiegando che tutti coloro che tentano di aiutare i profughi a sbarcare rischiano di essere aggrediti dai residenti. Il grado di allerta è lo stesso delle zone di guerra. Come sottolinea Marco Sandrone, coordinatore della missione di Medici senza frontiere sull’isola, “prima di aprire l’ospedale ogni mattina facciamo una riunione per valutare le condizioni di sicurezza”, perché sembra “un far west”.
Il fatto che le organizzazioni non governative stiano sospendendo le loro attività per il timore di essere attaccate ha delle conseguenze drammatiche sulla condizione dei profughi che vivono sull’isola. “Le Ong, che fino a oggi erano il principale fornitore di servizi per i richiedenti asilo, si trovano nella condizione di non avere accesso al campo. Devono riconsiderare la propria capacità di stare sul terreno e di muoversi sull’isola. Se già prima i servizi erano inadeguati, oggi ci troviamo in un contesto ancora peggiore perché la mancanza di sicurezza non permette più alle organizzazioni non governative di svolgere il loro ruolo. E’ inquietante che il governo non sia in grado di garantire la sicurezza e la legalità”, ha spiegato Sandrone.
Morto un bambino in mare per un naufragio
Lunedì sera un bambino siriano di quattro anni è morto mentre tentava l’attraversata dalla Turchia alla Grecia. Il gommone su cui viaggiava insieme ad altre 47 persone si è ribaltato in mare, e lui è annegato. E’ la prima vittima di una situazione che rischia di esplodere da un momento all’altro e che rappresenta la sfida di Erdogan all’Europa. Il presidente turco, infatti, minaccia di spingere migliaia di persone a lasciare il Paese se non si troverà un accordo du una tregua a Idlib, nel nord della Siria. Lì, i bombardamenti russi e siriani, hanno provocato già 900mila sfollati. Dopo l’annuncio di Erdogan la guardia costiera greca ha rinforzato la militarizzazione della frontiera, respingendo sempre più persone e sospendendo il diritto d’asilo per un mese.
Un video diffuso da alcuni attivisti mostra una motovedetta della guardia costiera greca al largo di Kos che sperona un gommone di profughi, e spara in acqua verso il gommone. Il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha chiesto a Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne, di far scattare il dispositivo d’emergenza e di mandare alle frontiere greche altri uomini e mezzi. In tutto questo l’atteggiamento dell’Europa è quello del silenzio. L’Ue sta totalmente voltando le spalle non solo alla Grecia, ma anche al suo dovere di rispettare le leggi internazionali e i diritti umani. Si parla di principi fondamentali come il diritto d’asilo che vengono totalmente ignorati, non riuscendo a trovare un accordo permanente sul ricollocamento dei migranti.
E le parole pronunciate oggi da Ursula von der Leyen, il presidente della Commissione europea, ne sono la dimostrazione: “Grazie alla Grecia per essere il nostro scudo“.