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Malati di Covid-19, ospedale “San Raffaele” di Milano: «Ecco come li curiamo»

26/03/2020 17:23 - Aggiornamento 26/03/2020 17:34

Come si curano oggi i malati di Covid-19? A fare il punto è l’ospedale “San Raffaele” di Milano che ha avviato un maxi studio sui pazienti per conoscere meglio la malattia, i vari gradi di gravità, e mirare le armi. Il report è stato diffuso oggi da AdnKronos Salute. Consapevoli che al momento “non esistono ancora farmaci specifici per la malattia”. Si procede quindi con terapie sperimentali.

covid-19 malati

Malati di Covid-19: le terapie sperimentali al “San Raffaele”

Quelle testate in queste settimane in Italia utilizzano tutti farmaci in regime off-label, ovvero approvati ma indicati per altre patologie, o addirittura non ancora approvati e dunque somministrati a uso compassionevole, previa valutazione da parte del Comitato etico istituzionale.

La prima classe di farmaci sono gli antivirali, che impediscono cioè la replicazione del virus e aiutano il sistema immunitario a contenere l’infezione. I più utilizzati – off-label – sono la clorochina o l’idrossiclorochina, molecole commercializzate già dal primo dopoguerra come farmaci contro la malaria, ma dotati anche di proprietà antivirali e antinfiammatorie. “Secondo i primi studi effettuati in Cina”, riepilogano gli esperti di via Olgettina, l’utilizzo di clorochina “migliora la sintomatologia dei pazienti e riduce il periodo di degenza”.

Altri antivirali utilizzati nei pazienti Covid sono Kaletra*, solitamente impiegato per Hiv, e remdesivir, sviluppato per Ebola ma che nei primi test di laboratorio era risultato efficace anche su un coronavirus (diverso da Sars-CoV-2). A differenza degli altri, non essendo mai stato approvato per il commercio, remdesivir viene per ora somministrato a scopo compassionevole in terapia intensiva. “A breve dovrebbe però entrare nei primi trial clinici con pazienti in fasi meno avanzate della malattia”, dicono gli esperti.

Malati di Covid-19 studio San Raffaele

L’utilizzo dei farmaci ad azione immunosoppressiva

L’altra grande classe di farmaci usati sono quelli ad azione immunosoppressiva. «Una delle conseguenze di Covid-19 è infatti l’eccessiva infiammazione che si verifica a livello polmonare e che contribuisce in alcuni casi a gravi polmoniti e insufficienze respiratorie, per le quali può essere necessario il ricovero in terapia intensiva», spiega Lorenzo Dagna, primario dell’Unità di immunologia e reumatologia. «Ecco perché si è pensato di utilizzare molecole capaci di spegnere l’eccessiva risposta immunitaria e contribuire in questo modo alla ripresa funzionale dei polmoni».

In questo caso, la molecola più utilizzata è tocilizumab, di cui si è parlato molto: un anticorpo monoclonale già in commercio per l’artrite reumatoide che agisce bloccando la produzione di Interleuchina-6 (Il-6), una molecola infiammatoria prodotta dal sistema immunitario in risposta a infezioni virali. «Ma ce ne sono altre in sperimentazione, come anakinra che agisce sull’interleuchina-1, o sarilumab, che funziona ancora su Il-6, ma in maniera più intensa, o reparixin, che funziona su Il-8», spiega Dagna.

L’utilizzo di farmaci di questo tipo «può deprimere tuttavia l’azione del sistema immunitario» dei pazienti che rischiano così di essere aggrediti da altre infezioni, evidenziano gli esperti. «Non è noto se questa depressione del sistema immunitario, possibilmente benefica nel controllare le prime fasi della polmonite Covid19, possa determinare una meno efficace eliminazione del virus da parte del sistema immunitario stesso», conclude Fabio Ciceri, vice direttore scientifico per la ricerca clinica dell’ospedale “San Raffaele” e primario dell’Unità di ematologia e trapianto di midollo. “Ecco perché bisogna agire con grande prudenza ed equilibrio”. >> Tutte le notizie sul coronavirus

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