A quasi 10 giorni dall’inizio della fase 2 del coronavirus le tanto millantate mascherine a 50 centesimi risultano ancora introvabili. Nell’assurdità della situazione, al rimbalzo di accuse tra il commissario straordinario all’emergenza Domenico Arcuri e i distributori, si affiancano depositi di ben 66 milioni di mascherine delle regioni. Mentre Arcuri punta il dito contro Federfarma servizi e Adf (distributori delle farmacie) per non aver rispettato gli accordi, gli ‘imputati’ rispediscono le accuse al mittente sottolineando l’impegno dello stesso a “provvedere all’approvvigionamento delle mascherine chirurgiche da distribuire alle farmacie”.
Mascherine introvabili: scaricabarile tra Arcuri e i distributori
“I cittadini vanno al supermercato e le mascherine le trovano, se non le trovano in farmacia non è colpa mia”: è Repubblica a riportare le parole di Arcuri che in un tentativo di difesa cerca di mettere una pezza al suo operato. Sottolineando che i rappresentanti della grande distribuzione “dall’inizio della fase due hanno già venduto 19,5 milioni di mascherine a prezzo calmierato”, il commissario straordinario avrebbe voluto screditare “gli speculatori e altre categorie simili”, nelle quali in molti hanno letto un riferimento ai distributori delle farmacie. Gli stessi che insistono per far alzare il prezzo minimo almeno a 75 centesimi: “Se noi le acquistiamo a 46 centesimi al pezzo – dicono – non possiamo rivenderle a 50 senza rimetterci”.
I conti non tornano: 15 milioni di pezzi mancanti all’appello
Ma dietro i contrasti tra Arcuri e i distributori c’è anche la questione approvvigionamento: dei 18 milioni di pezzi che i distributori avevano assicurato di avere nei magazzini, solo due milioni erano stati messi in vendita, il resto era ancora in attesa di certificazione da parte dell’Istituto Superiore di Sanità. Di questa restante parte, si è poi scoperto che la documentazione presentata all’Iss riguardasse solo poco più di un milione di pezzi. Ci sarebbe, dunque, un ammanco di circa 15 milioni di mascherine per i quali i distributori, dicono dal commissariamento, hanno dato una risposta “vaga e confusa”. Da qui la convocazione dei distributori da parte di Arcuri: “O trovate il modo di approvvigionarvi per una quantità accettabile di chirurgiche certificate, oppure l’accordo salta e le mascherine saranno vendute solo nei supermercati e in tabaccheria”. La risposta dei distributori dovrebbe arrivare in giornata.
Arcuri viene meno all’impegno: forse già nelle premesse
Le accuse di Arcuri ai distributori appaiono inaccettabili: al momento dell’accordo – dicono – il commissario, di fronte alle perplessità del prezzo, si era impegnato a risarcire i farmacisti che avessero già acquistato le mascherine ad un prezzo più elevato. Non solo, aveva anche promesso di provvedere all’approvvigionamento del sistema. Ma Arcuri se ne toglie fuori: “Non è il commissario a dover rifornire le farmacie, né si è mai impegnato a farlo”. E il suo staff fa inoltre sapere che nel testo c’è scritto che il commissario “integrerà la fornitura per le farmacie”, ma solo “per quanto possibile” e “se necessario”. Un modo per mettere le mani avanti insomma. In conclusione, il potere decisionale di Arcuri non dovrebbe stare anche nel poter obbligare i distributori a prendersi le mascherine e farle avere alle farmacie? >> Coronavirus, i numeri di oggi: -1.222 positivi, i guariti sfiorano quota 110mila