Caso Elena Ceste: la dottoressa Anna Vagli, parlando a nome del nuovo pool difensivo di Michele Buoninconti (condannato in via definitiva a 30 anni di carcere per il delitto della moglie) che fa capo al biologo e genetista forense Eugenio D’Orio e all’investigatore privato Davide Cannella e di cui lei fa parte in qualità di consulente criminologa, ha preso le distanze da quanto pubblicato dal settimanale Giallo in merito alle indagini difensive in corso sul caso Elena Ceste.
Il pool di Buoninconti sosterrebbe che Elena Ceste «precipitò in un fosso e l’acqua la trascinò via. Secondo i suoi difensori il suo corpo sarebbe stato trasportato per un chilometro lungo un tubo (il canale di scolo del rio Mersa, dove venne rinvenuto casualmente quasi nove mesi dopo la sua scomparsa ndr) sotterraneo fino al luogo del ritrovamento», si legge sull’ampio servizio che di recente Giallo ha dedicato al caso, per mano della psicologa e criminologa Roberta Bruzzone, nominata consulente di parte dalla famiglia di Elena Ceste, la quale ha bollato siffatta ricostruzione come «priva di ogni logica».
Roberta Bruzzone, pur ferma nell’annunciare «Noi siamo pronti a smontare questa ricostruzione in ogni suo punto», ha ricordato nel suo approfondimento sul settimanale diretto da Andrea Biavardi che «L’ipotesi di Michele Buoninconti (la morte accidentale della moglie ndr) è già stata smentita al processo, le nuove analisi non hanno valore» e confermata da tre sentenze in maniera univoca. Una eventuale revisione del processo si avrebbe infatti solo e se emergessero nuovi elementi tali da motivare la riapertura del caso. Attaccata in studio a Storie Italiane da Andrea Biavardi, che ha definito lei e il suo team di lavoro affetti da ‘revisionite’ acuta, molto di moda negli ultimi tempi, la Vagli ha precisato che la succitata presunta ricostruzione dei fatti occorsi la mattina in cui Elena Ceste scomparve da casa, il 24 gennaio 2014, non è stata formulata da lei e dal suo team.
Come avete agito fino ad ora e cosa vi aspettate dalle indagini che state compiendo?
La Vagli, confermata la effettuazione di prelievi fatti nel rio Mersa e oggi sotto analisi in laboratorio, ha infatti precisato: «Queste conclusioni di cui anche Biavardi ha parlato in trasmissione le ha tratte la Bruzzone, perché noi abbiamo fatto questi campionamenti che sono 5 campioni biologici tra cui una formazione pilifera che dal giorno 4 febbraio 2020 sono in lavorazione dal dottor Giardina presso l’Università di Tor Vergata ma, contrariamente a quanto scritto dalla Bruzzone, noi non abbiamo detto di voler dimostrare che il corpo di Elena sia passato nel tubo. Quelle non sono considerazioni fatte da noi come pool difensivo perché per fare considerazioni precise attendiamo le risposte dal laboratorio che non arriveranno prima di un mese; una volta che saremo entrati in possesso di quelle che saranno le risultanze faremo le opportune considerazioni investigative».
Da questi reperti sperate dunque di poter far emergere qualcosa di nuovo in merito alla morte di Elena Ceste?
«In realtà i campioni che sono ora in laboratorio non sono gli unici che abbiamo repertato».
E quanti sono? Dove li avete repertati?
«Sempre nel rio Mersa … sono diversi, non solo uno, e non sono ancora stati consegnati al laboratorio. Quindi prima di fare le nostre considerazioni che la Bruzzone ha dato per certe, noi ci riserviamo di attendere quelle che saranno le risposte provenienti dal laboratorio e poi da quel momento faremo le nostre considerazioni. Con quei campionamenti noi come pool siamo andati ad indagare ciò che non è stato – ma avrebbe dovuto essere – indagato in fase di indagini preliminari».
Ovvero? A cosa si sta riferendo esattamente?
«Poiché com’è noto, non risulta stabilita scientificamente qual è stata la causa di morte di Elena Ceste (la sentenza ha ipotizzato lo strangolamento, tuttavia non comprovato dall’esame autoptico per impossibilità di appurarlo visto lo stato dei resti del cadavere ndr) come si può, in un processo in cui non è possibile stabilire la causa di morte, non indagare sull’elemento genetico? Ecco, questo non è stato fatto».
Voi sostenete dunque che ci sia stata una qualche negligenza nel modus operandi degli inquirenti?
«Questi accertamenti la magistratura avrebbe dovuto disporli – ma non lo ha fatto – all’epoca dei fatti, dal momento poi che era stata acclarata l’impossibilità scientifica di stabilire la causa di morte di Elena. A maggior ragione, quindi, l’elemento genetico doveva essere indagato».
Quindi ad oggi la vostra ricostruzione dei fatti si ferma all’uscita di Elena da casa, completamente nuda, e poi caduta nel canale
«No. Anche il fatto che sia caduta nel canale noi non possiamo sostenerlo con certezza ma ci limitiamo solo ad ipotizzare che si sia allontanata e per ora attendiamo le risultanze degli accertamenti per poi meglio formulare la nostra tesi».
Un punto che vi viene spesso contestato è quello di sostenere plausibile il denudamento in preda a delirio psicotico, che voi attribuite ad Elena Ceste nel momento della scomparsa
«Il manuale diagnostico dei disturbi mentali annovera il denudamento come un disturbo mentale disorganizzato di cui fa parte anche l’allontanamento, quindi questa ipotesi non è così trascendentale».
Biavardi a Storie Italiane le ha contestato il fatto che la vostra indagine difensiva arrivi solo oggi, a distanza di tanto tempo dai fatti e dalle tre condanne a 30 anni di reclusione inflitte a Michele Buoninconti
«Vorrei precisare che con la riforma del 2000 è stata concessa la possibilità al difensore o a chi per esso – in questo caso a D’Orio che ha la procura speciale – di svolgere in qualsiasi momento, e quindi in ogni stato e grado del processo, prima e anche fuori dallo stesso, investigazioni difensive, quindi anche quando si ha necessità di appellarsi ad eventuali prove nuove per difendersi. È questo che noi stiamo andando a fare. Non dimentichiamoci che il diritto alla difesa è inviolabile».