La comunicazione è una prova difficile per molti di noi. Dalle incomprensioni personali nascono litigi, divisioni, tragedie. Dai cortocircuito comunicativi tra le nazioni sono derivati disastri epocali, sono scoppiate guerre. Tutto perché gli interlocutori non hanno stabilito un reale dialogo, ma hanno semplicemente intrapreso un discorso tra sordi.
Quello che sta accadendo in Italia in questi giorni di seconda ondata del Covid è molto simile a quanto appena descritto, una pandemia mediatica. Chi sono i responsabili? Tutti gli attori di questa recita tra sordi, ma in misura diversa per via del ruolo e della responsabilità che hanno. I primi sono i detentori di una carica pubblica, nelle Istituzioni. C’è un’eccezione, il capo dello Stato Sergio Mattarella, esempio di comunicazione sempre diretta, chiara, lineare. Ma dal presidente del Consiglio in giù, fino ai presidenti delle regioni ad ai sindaci di alcune città, tutti si sono resi protagonisti di un autentico bailamme. Fatto di annunci contraddittori, comunicazioni emotive ed enfatiche, quasi sempre poco chiare, quasi mai risolutive.
A partire dai numeri della pandemia e dai provvedimenti che hanno introdotto restrizioni, come gli ormai noti Dpcm. Non è sano comunicare i numeri della pandemia senza spiegarli, senza dire “quali” sono i più importanti da considerare per comprendere la reale gravità della situazione. Banalmente: la percentuale di tamponi positivi sul totale degli effettuati in un giorno, la percentuale di saturazione delle terapie intensive (quanti posti sono occupati sul totale dei disponibili in una data regione). Conoscete questi numeri? La vostra regione li comunica chiaramente ogni giorno?
Non è sano annunciare “strette” e poi rinviarle per giorni, gettando nello sconforto milioni di persone. Non è corretto comunicarle in diretta Facebook, non è quello il luogo deputato per raggiungere tutti i cittadini. Non è corretto comunicare a migliaia di imprenditori che devono adeguarsi a protocolli per poter continuare ad operare e poi bloccarli all’improvviso, dopo che questi hanno investito tempo e denaro per attuarli. Sì, siamo in balia di una pandemia e anche le istituzioni lo sono. Ma l’incapacità di comunicare in modo chiaro lo scenario e le decisioni imminenti sta creando altri e gravi danni alla coesione sociale del Paese. E chi dai cittadini ha avuto delega a decidere, non può permettersi l’incapacità di comunicare.
Poi ci sono i cittadini. Tutti noi oggi abbiamo la possibilità di comunicare la nostra opinione, il nostro stato d’animo, commentare il discorso di chi detiene una carica istituzionale semplicemente commentando un post sui Social. E in queste settimane vediamo di tutto. Dai deliri negazionisti, alla rabbia e al dolore di chi soffre davvero, perché malato o perché ha perso un proprio caro a causa del Covid. Dal qualunquismo becero di chi preferisce essere “pecora”, di chi non riesce ad abbandonare l’ideologia per paura di trovarsi nudo, fragile. Come tutti, del resto.
Ed in mezzo ci siamo noi, i media. Non abbiamo offerto uno spettacolo degno. Chi parla di esagerazione e di enfatizzazione delle sole notizie negative ha ragione, sempre che poi non pretenda di affermare che “il virus è un’invenzione dei media”. Un certo modo di fare informazione non è sano, dovrebbe essere chiaro a tutti, dagli editori giù giù fino all’ultimo dei collaboratori dei giornali. Stiamo vivendo un momento tragico, migliaia di persone sono morte a causa di un virus ancora perlopiù sconosciuto. Per il quale non esiste un vaccino e nemmeno si sa quando davvero sarà disponibile. Che causa una malattia per cui ancora non c’è una cura.
Non è edificante vedere importanti testate giornalistiche pubblicare in continuazione le immagini delle file di ambulanze di fronte ad un ospedale. Per far credere che trasportino pazienti, in quel momento esatto, tutte contemporaneamente. E’ stato chiarito che non è così, ad esempio, a Palermo: erano semplicemente in fila per essere sanificate. Certo, prima avevano lavorato e duramente come tutti gli operatori della sanità da mesi a questa parte. Comunicare questo vuol dire fare informazione corretta. Creare ansia gratuitamente pubblicando immagini disturbanti per raccontare una realtà artefatta, no. E’ uno dei tanti, troppi esempi di cattivo giornalismo.
E’ difficile non cedere alle esagerazioni, ed è pure difficile orientarsi nella selva di comunicati, dichiarazioni spesso contraddittorie in cui ogni giorno i giornalisti devono inoltrarsi. Ma dobbiamo essere consci del ruolo fondamentale che abbiamo. Senza informazione, meglio, senza una corretta informazione, non può esserci libertà. Nemmeno quella piccola libertà che gli eventi consentono. Siamo umani e fragili, la pandemia ha messo a nudo ancor di più la nostra fragilità. Di donne e uomini, di società ed Istituzioni.
Mi guardo allo specchio dopo una lunga giornata di lavoro, tra agenzie, articoli da rileggere e pubblicare, titoli da sistemare. E’ così da mesi, da quando è iniziato l’incubo del Covid. Sono stanco, ma lucido. La pandemia mediatica, almeno questa, possiamo combatterla da subito: l’unico farmaco da utilizzare è la nostra coscienza.