Altro che Putin. Se ne parlerà nei prossimi giorni al Copasir, il Comitato parlamentare sui servizi, ma tutte le informazioni e i retroscena finora trapelati dicono la stessa cosa: la liberazione dei pescatori italiani prigionieri in Libia è un autentico successo della nostra intelligence. E rappresenta una svolta rispetto al passato (anche recente), fatto di riscatti pagati per liberare ostaggi in situazioni altamente pericolose. Merito dell’Aise e del suo nuovo direttore, Gianni Caravelli, che hanno fatto centro su tutti i fronti. E questo nonostante la gestione “personalistica” di Conte, che ha fatto irritare non poco i vertici del Copasir (logico, sono un deputato leghista e un senatore di Fdi) e pure parte della maggioranza.
Liberazione dei pescatori in Libia: un successo dell’Aise firmato Caravelli
Questa volta l’intelligence ha lavorato di diplomazia, nonostante l’interlocutore fosse difficilissimo. Quel generale Khalifa Haftar, poi incontrato da Conte e Di Maio nel giorno della liberazione dei pescatori mazaresi. Un incontro che non mancherà di avere ripercussioni sul piano internazionale nei rapporti tra l’Italia e gli alleati europei in primis.
Che ci sia stato un “prezzo” da pagare è ovvio. Nessuna trattativa di rilascio di ostaggi che abbia esito positivo avviene senza una contropartita. Le contropartite negli ultimi casi di sequestro risolti sono sempre state economiche, il pagamento di un riscatto più o meno alto. Ma questa volta, no. Ed è stato esclusivamente per merito dell’Aise, guidata con sapienza dal direttore Gianni Caravelli, in questo ruolo da poco più di 7 mesi.
E non è una sorpresa conoscendo la statura e il curriculum di Caravelli. Laureato in scienze strategiche e in scienze diplomatiche internazionali, un master in scienze strategiche ed uno in studi europei, una lunga carriera nell’Esercito fino al grado di generale di corpo d’armata. Già direttore di Divisione presso il Sismi con numerose attività in supporto alle forze armate italiane in Afghanistan, Iraq, Bosnia Erzegovina, Kosovo e Libano, e poi vicedirettore vicario dell’Aise prima di prenderne il comando a maggio scorso, Caravelli è l’uomo della svolta per l’intelligence italiana.
Haftar chiedeva la liberazione di quattro giovani libici che nel 2015 avevano fatto una traversata verso la Sicilia ed avevano svolto a bordo un ruolo di scafisti, gli ormai noti “calciatori libici”. Nel naufragio dell’imbarcazione su cui viaggiavano erano morti più di 40 migranti. Per settimane Haftar aveva avanzato la richiesta di avere indietro i quattro scafisti per la liberazione dei pescatori. Ma è ormai chiarissimo che non è stata questa la contropartita per ottenere il ritorno a casa dei pescatori mazaresi e che la loro liberazione sarebbe stata comunque ottenuta grazie all’eccellente lavoro dell’Aise di Caravelli.
La brillante operazione dell’Aise e la conseguente “svolta” italiana sulla Libia
Subito dopo l’incontro con Conte e Di Maio l’account ufficiale della Libia di Haftar ha scritto: «Il comandante generale Khalifa Haftar ha elogiato il ruolo che il governo italiano gioca nel sostegno a una soluzione della crisi libica». Ecco, il succo è tutto qui. L’intelligence ha fatto il grosso del lavoro, e l’ha fatto molto bene. Ma poi Haftar ha ottenuto dalla politica il prezzo del riscatto: una trasferta di Conte e Di Maio a Bengasi, quasi una visita ufficiale, una legittimazione. E non è certo un prezzo simbolico.
Khalifa Haftar è l’ambizioso capo militare-politico della Cirenaica, la “Libia orientale”, uno dei due spezzoni in cui il paese è diviso dopo l’uccisione di Gheddafi. E Haftar rappresenta la parte di Libia non riconosciuta ufficialmente dalle Nazioni Unite, che invece ha legittimato il governo di Tripoli guidato dal Gnc. Anche se la comunità internazionale guarda con fiducia all’accordo siglato tra le due Libie, Tripoli e Bengasi, il 21 agosto scorso. Accordo che ha previsto un immediato cessate il fuoco ed elezioni generali per il marzo 2021, oltre al ritiro dei mercenari stranieri dal territorio libico.
Ma Haftar cerca maggiore legittimazione internazionale, per poter affermare la propria leadership nella nuova Libia. Non gli bastano il sostegno (anche militare) della Russia di Putin e dell’Egitto di Al-Sisi, e la benevolenza di Washington. Vuole anche completo sostegno da parte della Ue. E per questo sta giocando la sua carta vincente, la (presunta) capacità di controllare i flussi migratori dalla Libia verso le coste europee, l’Italia dunque.
Khalifa Haftar è un navigatore di lungo corso. Nato nel 1943 nella città orientale di Ajdabiya, faceva parte del gruppo di ufficiali guidato da Muammar Gheddafi che prese il potere contro Re Idris nel 1969. Dopo il disastro del conflitto in Ciad, Haftar che guidava le truppe libiche cadde in disgrazia e Gheddafi lo rinnegò. Finirà in esilio negli Stati Uniti, in Virginia. La sua vicinanza al quartier generale della CIA a Langley ha suggerito uno stretto rapporto con i servizi di intelligence statunitensi, che hanno dato il loro appoggio a diversi tentativi di assassinare Gheddafi. Con la caduta di Gheddafi, Haftar è scomparso nell’oscurità fino a febbraio 2014, quando ha illustrato in tv il suo piano per salvare la nazione e ha invitato i libici a sollevarsi contro il parlamento eletto, il Congresso nazionale generale (GNC).
Ora, la brillante operazione dell’Aise che ha riportato a casa i pescatori di Mazara ha permesso anche una svolta politica dell’Italia sulla questione libica. Fino a poco tempo fa Roma sosteneva il governo di Tripoli, in linea con le Nazioni Unite. E questo ha provocato non poche frizioni con gli alleati più interessati allo scenario libico, la Francia. Ora Haftar, che è riuscito a portare a Tripoli addirittura premier e ministro degli esteri italiani in un sol colpo, scopre le carte.