Cosa c’è nella testa di Putin e Zelensky? Che vogliono davvero? Su «Il Giornale» l’interessante intervista di Andrea Indini a Paolo Borzacchiello, fra i massimi esperti di intelligenza linguistica applicata al business, che ha focalizzato l’attenzione sulle parole, movenze e tempi dei due personaggi principali di questo doloroso conflitto bellico. Riferendosi al discorso dello zar del 24 febbraio scorso Borzacchiello ha detto: “Sono le regole base della propaganda. Chiama le cose con un altro nome, ben consapevole del fatto che nel farlo ne modifica anche la percezione”. Il presidente russo però non tiene conto di un dettaglio: “Le regole, che funzionavano ai tempi di Goebbles, oggi sono meno efficaci coi tiktoker che riprendono tutto in diretta”.
Putin cosa vuole ottenere? E Zelensky? “Ecco le vere intenzioni dei due…”
Diversa la modalità di comunicazione del premier ucraino: “Sta piacendo moltissimo all’opinione pubblica ed è tecnicamente perfetta per creare empatia con lo spettatore. Parlo di spettatore nel senso più ampio del termine, visto che noi occidentali, dal divano di casa nostra, assistiamo in diretta a quello che succede. La sua strategia è dunque perfetta: location, look e gestualità, tutto molto coerente. E il suo precedente mestiere si evince con chiarezza”, ha chiarito Paolo Borzacchiello. Davanti al congresso Usa, Zelensky ha ricordato Pearl Harbor e l’11 settembre: “È un’ottima strategia che trascende la razionalità. Le cause del conflitto ucraino sono diverse da quelle che hanno portato all’11 settembre e sono altrettanto evidenti le differenze fra i due eventi. È quasi inutile sottolinearlo. Ma, dal punto di vista narrativo, funziona alla grande. Nominare Pearl Harbor e 11 settembre ha una presa emotiva molto forte su chi ascolta”. Putin ha rievocato i pogrom degli ebrei: “Certamente. Se lo scopo è suscitare ondate emotive e forte paura, i richiami sono perfetti e la neuroassociazione è chiara. Tuttavia Putin cita tragedie che si ricollegano alla propaganda della ‘denazificazione’ e portano avanti il concetto di ‘non invasione’ e per questo l’analogia coi pogrom non regge. In Zelensky, invece, funziona tutto molto meglio”.
Il diverso approccio con i collaboratori
In foto Putin si mostra sempre lontano da tutti i collaboratori: “Il messaggio è chiarissimo: Putin vuole comunicare assenza di empatia. È lui, e solo lui, che ha in mano le sorti della guerra. Tutto passa da lui, e deve essere chiaro il concetto: nessuno potrà convincerlo a cambiare idea. Se mai lo farà, sarà per sua volontà. Il dittatore perfetto non è empatico, è distante da tutti”. Al contrario di Zelensky, sempre circondato dai suoi ministri: “Azzerando le distanze di ruolo, lavora sull’empatia: quando esorta l’Europa a mandare aiuti e armi, lo fa dal basso, vestito come chi sta combattendo la battaglia. Questo attiva nel cervello di chi lo guarda e lo ascolta una reazione empatica molto forte. Anche lui è credibile nel suo ruolo. Se questo fosse uno spettacolo teatrale, direi che nella narrazione offerta ai media (che è una versione parziale e ristretta della storia), protagonista e antagonista sono molto ben definiti, in ogni dettaglio”, ha detto Borzacchiello.
Cosa vuole davvero Putin? L’intervista a Paolo Borzacchiello
Una considerazione infine sull’uso del termine «nucleare», dominante in questi giorni: “Nucleare è una parola potente. La maggior parte delle persone preferisce fare una TAC rispetto a una Risonanza Magnetica Nucleare, anche se la TAC è decisamente più invasiva. È un termine forte, che attiva reazioni emotive fortissime: il sistema limbico, quando si sente minacciato, attiva una reazione che possiamo riassumere in freeze, flight or fight, paralizzati, fuggi o combatti. Il primo istinto è paralizzarsi, poi casomai scappare, poi casomai combattere. Da questo punto di vista, credo che Putin abbia considerato solo l’effetto ‘paralisi’ e non quello ‘combatti’. Potrebbe ritorcerglisi contro”, ha concluso l’esperto. Leggi anche l’articolo —> Guerra Russia-Ucraina, bombardato a Mariupol un teatro usato come rifugio